La Corea del Sud si inserisce con decisione nella crisi tra il Nord della penisola e gli Stati Uniti e rivendica un ruolo di primo piano su qualsiasi svolta venga adottata da Pyongyang e Washington.
Kim Jong-un ha messo in pausa la minaccia di colpire Guam; Tillerson ha detto che gli Usa sono aperti al dialogo con la Nordcorea. Corea del Sud, Cina e Russia chiedono maggior calma e esigono l’esclusione di ogni azione militare.
Mentre l’escalation politica e militare con il Nord preoccupa il mondo, la Chiesa mette in guardia dai «danni irreparabili» e invita cercare ogni via politica e diplomatica per la pace.
«Come cristiani dobbiamo camminare sulla via della pace e rafforzare l'educazione e la cultura pubblica sul fatto che dalla minaccia nucleare ci si difende solo eliminando completamente gli armamenti atomici». E' quanto afferma l'arcivescovo Silvano Maria Tomasi, per tanti anni osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio Onu di Ginevra.
In appello per una «vera pace» tra le due Coree è stato lanciato nel corso di una cerimonia interreligiosa svoltasi a Seongiu nel 64mo anniversario della fine della guerra e la proclamazione della tregua, ancora in vigore.
La presenza di Papa Francesco in Corea, nel 2014, ha generato un cambiamento nella società. Ora, grazie all'accordo che abbiamo stipulato con la Segreteria vaticana per la Comunicazione, potremo partecipare alla missione di comunicazione evangelica, insieme con la Santa Sede.
«Nell’ultimo anno abbiamo passato i tempi difficili dell’impeachment e delle elezioni presidenziali anticipate. Ora il popolo coreano ha eletto un nuovo presidente. Abbiamo bisogno di un leader che percorra la strada della vera pace e giustizia, valorizzando tali principi anche nei momenti di confronto». Queste le parole dell’Arcivescovo Kim Hee-jung, Presidente della Conferenza Episcopale della Corea.
La comunità cattolica esprime piena sintonia con le parole del Papa e chiede negoziati. Un passo coraggioso può essere cancellare le esercitazioni militari Seul-Washington. Parla Peter Kang.
Lo rivela il «Global Slavery Index» reso pubblico oggi. In cima alla lista si trova la Corea del nord e al secondo posto la Cina.
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