Un vescovo in Corea: «La guerra sarebbe una catastrofe per tutti»

«Una guerra in Corea sarebbe un catastrofe per il Nord e per il Sud. Tutti saremmo annientati, dati gli imponenti arsenali di armi esistenti. Qualunque sia la situazione, non esiste nessuna buona ragione per giustificare l’inizio di una guerra, che il popolo coreano rifiuta decisamente»: il vescovo Peter Kang, ex presidente dell’episcopato sudcoreano, esprime in un colloquio con Vatican Insider le preoccupazioni e i sentimenti della comunità cattolica coreana, mentre nubi di guerra si addensano in estremo oriente. L’intera nazione sudcoreana, spiega, si trova in piena sintonia con papa Francesco che, di ritorno dal suo recente viaggio in Egitto, ha esortato apertamente a «risolvere i problemi con la strada diplomatica», invocando il negoziato come mezzo per allentare l’alta tensione politica e militare nella penisola coreana.

«Stiamo attraversando un tempo difficile. Potrebbe essere inizio di un nuovo conflitto. Devono esserci altri modi per affrontare questa situazione e per instaurare relazioni con la Corea del Nord», rimarca il Vescovo, invitando a «uno sforzo di creatività evangelica».

L’atteggiamento americano, a suo dire, non aiuta: «Sembra che gli Stati Uniti vogliano utilizzare l’atteggiamento della Corea del Nord per aggravare la tensione in Asia orientale. L’amministrazione Trump ha le sue responsabilità. Non è giusto avvicinarsi alla complessa questione della Corea del nord solo con i mezzi militari o mostrando i muscoli. Quello che è al potere a Pyongyang da 60 anni è un regime militare che non vuole altro». Inoltre, prosegue il leder cattolico «va considerata la particolare situazione in Corea del Sud: avremo le elezioni presidenziali il 9 maggio e ora c’è un vuoto di potere. Gli Usa, in queste settimane, hanno sfruttato il vuoto nella leadership a Seul. Serve maggiore prudenza».

Il vescovo compie un excursus storico: «Alti e bassi nelle relazioni Nord-Sud vanno avanti da ormai 60 anni. Ci sono state altre fasi segnate da un alto grado di tensione. Ricordo la crisi del 2009, ma anche quella del 1995: il buonsenso, poi, ha sempre prevalso e la situazione è tornata entro i ranghi senza iniziative o metodi particolari. Nella consapevolezza che, se si comincia un conflitto, è la fine per tutti. Credo che Corea del Sud e Usa non vogliano assumersi di fronte al mondo la responsabilità di avviare una nuova fase di belligeranza».

Ma quali possono essere i passi concreti e le strategie per far calare la tensione? Kang ha una sua opinione e fa una proposta: «Ogni anno Corea del Sud e Stati Uniti realizzano esercitazioni militari congiunte, ufficialmente per motivi di difesa. Queste attività militari sono percepite al Nord come un sfida a cui rispondere. Si potrebbero eliminare queste esercitazioni, avvertite dal Nord come una minaccia alla propria sicurezza».

Spiegando la psicologia del regime nordcoreano, Kang osserva: «La Corea del Nord teme da sempre l’invasione del suo territorio da parte di Corea del Sud e Usa. Il regime sa che le armi convenzionali di cui dispone non sono all’altezza per combattere con il Sud; dunque preparare armi atomiche rappresenta, nella mentalità nordcoreana, l’unico mezzo possibile per per farsi temere. Promuovere le esercitazioni congiunte costituisce, allora, un impulso perchè Pyongyang, sentendosi minacciata, continui la sua folle corsa alle armi nucleari. Ricordo che nel 1990, dopo un accordo, le esercitazioni furono interrotte per un anno e anche al Nord non se ne fecero. Oggi si potrebbe fermarle. Credo che, per il bene supremo della pace, Corea e Stati Uniti debbano fare il primo passo, un gesto coraggioso».

Il vescovo Kang vive a Jeju, città dove la marina militare degli Stati Uniti ha ultimato due anni fa la costruzione di un nuovo avamposto (in Corea vi sono 16 basi navali, per oltre 30mila soldati Usa). Con altri preti e un numero crescente di fedeli, celebra spesso l’Eucarestia davanti all’entrata della nuova base navale di Jeju. «Fermare la corsa agli armamenti – rimarca – è necessario per ottenere la pace. Nella coscienza nazionale coreana, dopo la tremenda esperienza della guerra del 1950, il concetto di pace è rimasto sempre legato alla forza militare. Ora urge un passo avanti e dare alla pace un significato costruttivo, quello autenticamente evangelico».

Nella convinzione che pace e riconciliazione siano obiettivi da perseguire ma anche doni da chiedere a Dio, la Chiesa coreana vive questo tempo immersa nella preghiera: «In ogni diocesi si sta pregando per la pace», racconta il Vescovo. A Seul la pace si lega al centesimo anniversario delle apparizioni della Madonna di Fatima: dal 13 maggio fino al 13 ottobre vi sarà un pellegrinaggio in varie tappe che vedrà i fedeli marciare per le vie della città, seguendo una statua della Vergine. Lei rappresenta «il desiderio dei cattolici per la pace in Corea», ha spiegato Augustine Jo Sung-poong, direttore della pastorale nell’arcidiocesi.

(Paolo Affatato / Vatican Insider)

2 Maggio 2017 | 11:52
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