Sono passati cinque anni dalla barbara esecuzione sulla spiaggia di Sirte, in Libia, di 21 giovani egiziani di religione cristiana ad opera del sedicente Stato islamico. Se avessero rinnegato la fede si sarebbero salvati, era stato detto loro. Non lo fecero e per alcuni le ultime parole pronunciate furono: «Signore Gesù Cristo». Il loro sacrificio è stato seme di speranza e di nuova vita per i cristiani del Paese.
Lo sceicco Saad Askar ha lanciato l’allarme da un microfono, dopo aver raccolto segnali di alcuni fedeli. L’imam invita a «restare vicini». Cristiani e musulmani devono prendersi «cura l’uno dell’altro. Quanti vogliono colpire i luoghi di culto, non hanno religione».
Ferma condanna di monsignor Musarò dell’attentato di ieri che ha colpito i cristiani in pellegrinaggio. L’attentato rivendicato dall’Isis, salito a undici il bilancio delle vittime.
La Chiesa copta ortodossa parla di «incertezze nelle circostanze della morte» dell’abate di san Macario, discepolo di Matta el Meskin, colpito mentre si recava ad adempiere l’ufficio delle preghiere mattutine. Una morte dai tratti martiriali.
La preparazione della visita di Papa Francesco in Egitto «procede secondo programma», e l'attesa per l'arrivo del Vescovo di Roma «non riguarda solo i cristiani, ma coinvolge tutto il Paese».
Dopo le stragi di cristiani copti, in Egitto si riaprono dispute e polemiche anche in seno alla comunità islamica.
Atti che «non danneggeranno l’unità di questo popolo e la sua coesione. Gli egiziani sono uniti di fronte al terrorismo fino a quando sarà sradicato»: ha risposto con queste parole il patriarca della Chiesa ortodossa copta, Teodoro (Tawadros) II
Cominciano a tornare alle proprie case alcune delle famiglie copte che a febbraio erano fuggite dal Sinai del Nord – e saprattutto dalla città al Arish, capoluogo del governatorato – dopo la serie di violenze e assassini abbattutasi sulla locale comunità cristiana.
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