Ticino e Grigionitaliano

«Un’iconografia e dei bassorilievi unici in tutto il territorio ticinese»

La si vede passando dall’autostrada Lugano-Chiasso, all’altezza di Grancia, isolata in mezzo al bosco a mezza costa. La si nota principalmente per avere due campanili, di cui uno discosto dalla chiesa come fosse una torre a sé stante. È la parrocchiale di Sant’Ambrogio a Barbengo, a cui la rivista «Arte e Cultura» della Fontana Edizioni dedica il suo nuovo numero. L’edificio è raggiungibile attraverso il centro storico, con una comoda strada pedonale costeggiata da una Via Crucis progettata nel Novecento dall’architetto Augusto Guidini. La piccola chiesa, dalla facciata modesta, non lascia certo presagire la ricchezza dell’interno. Una volta varcata la soglia, con grande sorpresa, infatti, l’occhio corre subito verso il presbiterio. Una grande decorazione a stucco rococò racconta il momento in cui Sant’Ambrogio sta per salire al cielo, mentre Dio Padre, prima sotto forma di raggi di luce e poi benedicente, lo accoglierà in Paradiso. Un’iconografia inconsueta, che non ha precedenti nelle chiese del Cantone, così come la composizione a stucco a bassorilievo dell’ancona dove è raffigurato il Santo; benché non manchino esempi in ambito italiano ed europeo, quella di Barbengo rappresenta forse un unicum in tutto il Ticino. Sant’Ambrogio appare però anche in un affresco novecentesco sulla volta, subito sopra l’entrata della chiesa, anche qui con una iconografia molto rara e articolata che ritrae sì il Santo mentre battezza Agostino, tema consueto, ma con un contorno di personaggi e simbologie che sono stati puntualmente identificati come tutti attinenti alla vita del vescovo milanese. Le sorprese continuano man mano che si percorre la navata, soprattutto nelle due cappelle laterali, dove il trionfo dello stucco barocco, principalmente nella cappella della Beata Vergine del Rosario, dà testimonianza di una grande bottega di scultori a stucco, quella dei Casella di Carona e Barbengo, artisti che hanno operato nei grandi cantieri sabaudi a Torino nel corso della prima metà del Seicento. Il legame con il Piemonte, e con Torino in particolare, è confermato dagli altri autori degli stucchi che «Arte e Cultura» identifica per la prima volta e che fanno parte delle tante famiglie di artisti nativi di Barbengo. La macchina d’altare del presbiterio è un capolavoro, infatti, di Carlo Papa e Francesco Somazzi, mentre gli eleganti stucchi rocailles dei due campi delle volte dello stesso presbiterio sono opera di Paolo Masella. Una volta tornati da Torino, dove avevano operato nei palazzi nobiliari, i nostri artisti avevano deciso di lasciare una sorta di testamento spirituale nella chiesa del loro paese natale. Lo stesso farà qualche anno dopo anche Giacomo Neuroni, un altro esponente di una grande famiglia di artisti di Barbengo, che eseguirà in forme neoclassiche il pulpito, mediante una decorazione a stucco di sapore neorinascimentale. Le sorprese in questa chiesa si susseguono di continuo: se, da un lato, la cappella della Beata Vergine del Rosario mostra un equilibrio stilistico fra sculture e decorazioni, nella cappella dirimpetto, dedicata a Sant’Antonio da Padova, la grande pala d’altare con l’Apparizione di Gesù Bambino a Sant’Antonio da Padova, eseguita nel 2021 dal pittore Giovanni Gasparro, di gusto iperrealista, è un esempio interessante della coesistenza della pittura postmoderna accanto a opere antiche entro lo stesso edificio religioso.

Il 26 maggio, alle 16.30, nella chiesa stessa, la presentazione del numero dedicatole da «Arte e Cultura». 

di Giorgio Mollisi, Direttore di «Arte e cultura»

13 Maggio 2022 | 05:53
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