Ticino e Grigionitaliano

Una tela di Giovanni Gasparro nella chiesa di S. Ambrogio a Barbengo

Lo scorso 9 gennaio, a Barbengo, presso la chiesa parrocchiale di S. Ambrogio, durante la S. Messa domenicale è stata inaugurata e benedetta, alla presenza dell’artista Giovanni Gasparro, la nuova pala d’altare della cappella laterale destra dedicata a Sant’Antonio di Padova.

Signor Gasparro, con la parrocchia di Barbengo vi è un legame d’amicizia, dato che già nel 2018 ha realizzato un dipinto raffigurante santa Monica per la chiesa parrocchiale. Cosa la lega al Ticino?

Ho scoperto le bellezze del Ticino grazie a questa prima opera. Non ero mai stato in Svizzera. I committenti, con i quali si è consolidato un  legame prolifico di stima e amicizia, mi hanno mostrato molte delle meraviglie d’arte, del paesaggio e di spiritualità di questa terra. Mi ha attratto sin da subito il legame ancora palpabile con la religiosità borromaica. È come se san Carlo avesse permeato la cultura di queste terre in modo indelebile. Mi ha commosso.

Cosa l’ha colpita maggiormente sul territorio ticinese?

Lugano mi ha sorpreso con gli affreschi di Bernardino Luini. Le tele di Serodine e Petrini presenti nella Pinacoteca cantonale Züst, i gessi di Vincenzo Vela e le visioni lenticolari di Antonio Ciseri, cercato da me nei borghi, nei musei e nelle chiese ticinesi, mi hanno ispirato. Il trasporto del Cristo al sepolcro del Santuario della Madonna del Sasso è un capolavoro assoluto del XIX secolo.

La tela appena inaugurata rappresenta «L’apparizione del Bambino Gesù a Sant’Antonio». Qual è stata la genesi di quest’opera?

I committenti intendevano intervenire in maniera incisiva sull’assetto dell’intera cappella dedicata a sant’Antonio da Padova, nella chiesa di sant’Ambrogio a Barbengo, perché la pala d’altare, realizzata dal pittore Carlo Cotti negli anni sessanta del ‘900 risultava incomprensibile sul piano formale. I fedeli avevano perso persino memoria di cosa fosse raffigurato nel dipinto, scambiando il santo portoghese per una Vergine o san Giuseppe con il Bambino. Sul piano devozionale come su quello artistico, si era giunti ad una cesura netta che occorreva sanare. Pertanto, memori del mio intervento con la santa Monica, hanno prospettato una copertura, in accordo con l’Ufficio Diocesano d’Arte Sacra e l’Ufficio dei beni culturali del Cantone, con una mia nuova pala d’altare. Una «restaurazione» o una «controrivoluzione pittorica» in cui un dipinto aniconico del secondo ‘900 fosse sostituito da uno figurativo e contemporaneo. Una sorta di insperato ritorno all’ordine, artistico e cattolico.

Quali invece le caratteristiche del dipinto a livello iconografico?

Si è dibattuto su diverse immagini antoniane, dalla predica ai pesci ad alcuni miracoli del grande taumaturgo, dalla predicazione del santo «martello degli eretici» all’incontro con san Francesco. Avevo ipotizzato di dipingere il giovane sant’Antonio mosso dallo zelo missionario verso le terre islamiche, sulle orme dei protomartiri umbri francescani oppure il più noto miracolo eucaristico della mula. In ultima istanza, si è optato per una visione mistica con l’apparizione di Gesù Bambino a Camposampiero, nel 1231. Sant’Antonio si volta, sorpreso in orazione, come fosse chiamato dal Divin Bambino, e dal coro di angeli. Un Gesù quasi in posizione fetale, reggente il consueto attributo iconografico del giglio bianco, simbolo di purezza, sorretto da un libro delle Sacre Scritture, immerso in una luce ambrata che vuole alludere ad una sorta di liquido amniotico. Un facile rimando alle tante maternità negate con la pratica dell’aborto, tema che mi è particolarmente caro sin dai tempi in cui vinsi il Premio UNESCO con l’opera Casti connubii, ispirata all’omonima enciclica di papa Pio XI.  Quindi un sant’Antonio protettore dell’infanzia negata e vilipesa. Questo lo pone in rapporto ad un affresco presente nella medesima cappella, con l’adorazione dei Santi Magi.

Non è nuovo a soggetti religiosi, tanto che Camillo Langone l’ha definita «la punta di diamante della pittura cattolica». Da dove nasce questo suo interesse?

Ho sempre dipinto arte sacra o di ispirazione religiosa – destinata a luoghi di culto e alla devozione privata – anche prima di vendere le mie opere. Sin dagli anni di studio, le iconografie sacre costituivano la mia principale fonte d’ispirazione. Ne ero e ne sono ancora attratto principalmente per fede, perché per me, queste narrazioni figurate, non sono lettera morta, sono ancora vive nel mio sentimento religioso personale e ne permeano la tessitura cromatica, nelle visioni che costruisce la mia immaginazione. Non c’è nulla di riproposto pedissequamente o in modo manierato. È tutto elaborato partendo dal bagaglio visivo dell’antico e calato nella mia personale contemporaneità di battezzato che dipinge nel 2022.

Una passione, unita una grande competenza tecnica, calata nella contemporaneità che l’ha fatta conoscere nel mondo…

Le commissioni di pale d’altare o interi cicli pittorici sono giunte in seconda battuta quando i committenti hanno avuto già modo di toccare con mano le mie proposte, persino in gallerie e musei d’arte contemporanea, ovvero in contesti radicalmente distanti da un qualsivoglia sentimento spirituale o devozionale. Questo mio interesse si è riversato sia in soggetti tante volte proposti nelle immagini d’arte del Cattolicesimo, sedimentate nella memoria collettiva, sia nelle nuove iconografie ideate per santi canonizzati di recente o episodi vetero e neo testamentari poco indagati dalla pittura antica e moderna. Per me il territorio visionario cattolico è ancora parzialmente inesplorato. Incredibile a dirsi dopo due millenni d’arte sacra.

Federico Anzini

19 Gennaio 2022 | 15:37
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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