Ticino e Grigionitaliano

Religione a scuola: alcune docenti si raccontano

a cura di Corinne Zaugg, Laura Quadri e Cristina Vonzun

Rossella Difonte Del Pietro, docente a Biasca e Giornico: «A scuola non si fa catechismo»

«L’insegnamento religioso non è catechismo, ma formazione e conoscenza della persona». Così Rossella Difonte Del Pietro, docente a Biasca e Giornico, ci presenta l’ora di religione, un momento privilegiato per formare i ragazzi «alla relazione, all’intelligenza emotiva e cognitiva». E due sono le immagini a cui più spesso ricorre per spiegare questi aspetti ai propri allievi: la valigia e gli occhiali. «Ricorro all’immagine della valigia o della cassetta degli attrezzi, spiegando che spetterà loro riempirla di anno in anno. Tra gli «attrezzi» necessari, li invito a valutare la cultura religiosa, che, come un paio di occhiali, permette di acquisire uno sguardo più allargato su quello che è la realtà, guardando al senso profondo delle cose. E sottolineando che il cuore della lezione non consiste solo nella trasmissione di conoscenze. Il cristianesimo stesso si fonda sulla relazione. Così molto, anche nell’ora di religione, sta nell’incontrarsi, ascoltarsi e porsi delle domande». La signora ha a disposizione mediamente 30 ore l’anno per classe. I piani di studio seguono «HarmoS», la «didattica per competenze» introdotta in tutto il Cantone nel 2015. Al contempo, «il lavoro di docente consiste anche nel prestare attenzione agli argomenti trattati nelle altre materie. Mentre in quinta elementare terminiamo con i monoteismi, ricominciamo in prima media con i politeismi, contemporaneamente ai docenti di storia, che raccontano ai ragazzi delle culture antiche. Parlando di queste popolazioni, l’allievo comprende che nell’uomo lo slancio verso il trascendente è presente da sempre». La signora attualmente svolge un dottorato alla Facoltà di teologia in pedagogia interreligiosa: «L’ora di religione è una materia davvero ampia, nella quale ci incontriamo e scontriamo con il mondo interiore dei nostri allievi. Per questo, a mio parere, richiede anche molta formazione. Educare, infatti, è un atto di responsabilità e di amore verso i nostri allievi», conclude.

Cristina Villalobos Benitez: «Bambini come piccoli detective per un’indagine sui segni della fede»

Trasformare i ragazzi e le ragazze di prima e seconda elementare in piccoli «detective», alla ricerca, per strada, nel tempo libero, con le loro famiglie, di quei segni che raccontano la fede e la devozione di chi li ha preceduti. Per raccontare in classe le loro scoperte ai compagni, interrogarsi assieme su di esse, e chiedersi che cosa il cristianesimo continui a rappresentare nel contesto sociale di oggi. È questo uno degli approcci scelti da Cristina Villalobos Benitez Cavadini, docente di religione alle elementari in varie sedi del Mendrisiotto, che per i propri allievi ha deciso di puntare, anzitutto su un’attitudine: la curiosità. «Per me è molto importante risvegliare in loro questo aspetto. Al centro del discorso vi è sempre la centralità di Gesù, la conoscenza della sua vita, della sua persona, a partire dai Vangeli. Al contempo chiedo loro di prestare attenzione agli elementi che ci circondano, per comprendere certi aspetti della realtà in cui viviamo. Con alcuni allievi di quarta e quinta invece riflettiamo sull’amicizia a partire dai testi biblici», spiega. Si tratta, sottolinea la docente, di aspetti dell’insegnamento molto apprezzati anche da quei genitori che decidono di iscrivere i loro figli proprio per una questione di cultura generale, e non strettamente per la propria fede personale. «Alcuni dei ragazzi, a volte, mi dicono di non credere. Io ribadisco che non si tratta di credere in Dio, ma di conoscere e chiedersi perché la fede è importante per alcune persone. Facendo loro capire che la domanda di senso fa parte delle conoscenze di ogni popolo».

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18 Marzo 2024 | 14:02
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