La Via Crucis a Prato Leventina dopo i restauri
Ticino e Grigionitaliano

Prato Leventina: restaurata la Via Crucis realizzata da fra Roberto Pasotti

di Giulio Foletti, storico dell’arte

La chiesa parrocchiale di S. Giorgio a Prato Leventina, posta su un lieve promontorio roccioso tra i prati, isolata dirimpetto al minuscolo villaggio, è senza alcun dubbio tra quelle di maggior pregio dell’alta Leventina. Quasi tutte le tipologie architettoniche che normalmente costituiscono le aree sacre della nostra regione (oggi si direbbe, con termine vagamente esoterico, i «luoghi energetici») sono riunite in questo complesso. Vi sono lo svettante campanile romanico, scolpito nel caldo calcare locale; la chiesa d’origine medievale (la prima menzione è del 1210) con il grande coro barocco; le cappelle aggiunte, le sagrestie e i residui delle epoche precedenti, ancora infissi nella muratura; il basso e intimo porticato tardomedievale dove la comunità era solita riunirsi per sbrigare le sue faccende, al riparo dalle burrasche che scendevano dal Gottardo; il cimitero civile ottocentesco, separato ma integrato nel complesso; l’ossario moderno, in sostituzione di quello più antico. A completamento di questa articolata area sacra non poteva mancare una Via Crucis architettonica, ovvero la canonica sequenza di quattordici regolarissime cappelle dipinte, che scandiscono il solido muro che cinge il colle.

Devozione e arte

La pratica devozionale della Via Crucis è relativamente recente. Nata nel primo Seicento in ambito francescano (né poteva essere altrimenti: i Francescani sono i custodi dei luoghi santi di Gerusalemme) trovò la sua codificazione e larga diffusione a partire dai primi decenni del Settecento. A Prato Leventina le fonti attestano che la struttura fu eretta una prima volta nel 1768 ma che poi fu ricostruita nel 1846, forse quando fu realizzato l’adiacente cimitero civile ottocentesco: sono cappelle semplici e massicce, coperte da un tetto in piode, con una nicchia rettangolare profonda e voltata. Nel 1985 fra Roberto Pasotti, cappuccino cresciuto e formatosi nel convento di Faido, venne chiamato dal Consiglio parrocchiale per realizzare il nuovo apparato iconografico, visto che quello antecedente, risalente all’epoca della ricostruzione, era costituito da ripetitive e consuete raffigurazioni industriali in ghisa. Non era la prima volta che l’artista si chinava su questo soggetto, peraltro consono alla spiritualità francescana che, per sua natura, è particolarmente attenta ai momenti essenziali della vita dell’uomo (la nascita attraverso la pia pratica del presepio; la morte meditata attraverso la via Crucis…): già nel 1961, non ancora trentenne, aveva dipinto una Via Crucis su tavola per la chiesa del Convento dei Cappuccini di Wil, nel Canton San Gallo; nel 1964 realizzava a graffito i dipinti delle cappelle di Giornico; nel 1979 due cappelle della Via Crucis del Bigorio; altre Viae Crucis seguiranno, su tavola all’abazia di Uznach nel 1997 e nel 2000 al Sacro Monte di Brissago, dove la stazione terminale è stata completata per sostituire l’affresco originale gravemente deperito. La stessa operazione è stata recentemente compiuta a Prato Leventina: l’inclemente meteorologia alpina aveva infatti parzialmente danneggiato i pannelli delicatamente lavorati a tempera, tanto da costringere Fra Roberto a intervenire per risarcire e restaurare il necessario; purtroppo il dipinto dell’ultima stazione, aperta verso settentrione, non era recuperabile. È così nata una nuova e intensa immagine, realizzata con la stessa tecnica e raffigurante la Vergine dolente china sul corpo inerte di Cristo.

Un messaggio universale

Oggi ancora, in questi tempi travagliati, la Via Crucis dipinta da fra Roberto a Prato, con le sue immagini essenziali, il suo coerente e innovativo linguaggio artistico, la sua insistenza sul volto del Cristo/Uomo martirizzato, la sua pregnanza formale, trasmette il suo messaggio universale; si confronta e si integra degnamente in un monumento millenario; è un capitolo importante della storia dell’arte sacra in Ticino. Valgano insomma le parole scritte nel 1985 da don Azzolino Chiappini: «Fra Roberto sta preparando una via Crucis per le cappelle di un paese della Leventina. È un’opera straordinaria: in quasi tutti i quadri l’occhio di Gesù ha una funzione fondamentale. È più di tutto il volto: è quello che parla. Altro punto importante: nella pittura di fra Roberto, si sente presente il tema del dolore dell’uomo, quello della morte. Nelle vie crucis e nella serie dei martiri, figure d’oggi (innocenti, vittime, torturati), il dolore e la tragedia sono osservati senza compiacimenti, ma anche senza fughe. È come un confronto decisivo, dopo il quale soltanto può emergere la speranza e la luce (come la linea verticale bianca che attraversa molte di queste scene). È necessario guardare la realta per vivere. Dice fra Roberto: «Non si può sfuggire al tema della morte, che alla fine non è triste, ma forza che rinnova. Occorre accettare la crisi per poter andare al di là». È un linguaggio difficile, esigente. Ma è un linguaggio che raggiunge l’essenziale della fede cristiana: è il tema pasquale quello della morte e della risurrezione di Gesù, della croce che non è fine o conclusione, ma premessa di altro: della vita».

La Via Crucis a Prato Leventina dopo i restauri | © Ufficio Beni Culturali – Foto Pacciorini
15 Maggio 2023 | 09:42
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