Ticino e Grigionitaliano

P. Mauro Lepori: «Il senso della gratuità come valore unico dell’esistenza»

L’Associazione internazionale Amici di Eugenio Corecco, vescovo di Lugano, il 1. ottobre ha riproposto, nella sua formula originale iniziata nel 2004, un incontro di convivenza e amicizia presso il Collegio Pio XII di Breganzona-Lucino. Vi proponiamo l’omelia di p. Mauro Lepori, Abate generale dei Cistercensi, durante la S. Messa.

Leggi anche: Il 1. ottobre, una giornata di testimonianze con P. Mauro Lepori e l’Associazione Amici di Eugenio Corecco

Ricordiamo anche l’appuntamento con il Card. Scola di questa sera, 6 ottobre, alle 20.30 alla FTL e online.

Memoria di S. Teresa del Bambino Gesù. Incontro Amici di Mons. Eugenio Corecco – Breganzona, 1° ottobre 2022.

Letture: Giobbe 42,1-3.5-6.12-16 (NV) [ebr. 1-3. 5-6.12-17]; Luca 10,17-24
 

«Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20)

Sì, pure noi siamo sempre tentati di rallegrarci dei nostri successi, anche apostolici e missionari, come nel caso dei settantadue discepoli che tornano tutti pimpanti dalla loro missione. Oppure, ma è lo stesso, siamo subito depressi se quello che facciamo o desideriamo per il Regno di Dio, la Chiesa, o semplicemente per la nostra comunità o famiglia, non ottiene il successo sperato, e a volte ci sembra che i «demòni» di ogni specie che ci osteggiano non sono tanto sconfitti dalla nostra fede in Cristo come vorremmo. Anche noi, cioè, viviamo la nostra vita e vocazione nelle tinte caravaggesche del libro di Giobbe: o tutto va male o tutto va bene; o siamo in grazia o siamo in disgrazia. Insomma, siamo contenti se siamo soddisfatti e siamo scontenti se siamo insoddisfatti. E spesso, la nostra insoddisfazione non è neppure determinata da chissà che grandi cause missionarie o messianiche: spesso basta una bazzecola di contrattempo, un minimo guasto all’auto o al computer, uno stupido screzio con la moglie o un collega, per rovinarci l’esistenza. Siamo più come Giona, che si arrabbiò a morte perché era seccata una pianta di ricino (cfr. Giona 4,7-8) che come Giobbe che è rimasto fedele pur perdendo tutto e rimanendo a grattarsi le piaghe seduto sulla cenere (cfr. Gb 2,7-8).

Il successo è sempre insidioso, soprattutto nelle missioni a carattere religioso, per il semplice fatto che tendiamo ad attribuirlo a noi stessi. Per questo Gesù invita i suoi discepoli a deviare non tanto il corso ma l’origine e il destino della loro gioia, della loro soddisfazione: «Non rallegratevi perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Gesù richiama anzitutto i discepoli a non dimenticare che questo potere viene loro da Dio: Lui solo ha il potere e la forza di sottomettere i demòni. Ma la coscienza a cui Gesù ci richiama mi sembra più profonda. Non si tratta solo di una questione di potere, di forze. In questo rimarremmo nella logica del mondo e dei demòni. Di per sé, per sottomettere i demòni basterebbero i demòni stessi che fra loro non possono avere che rapporti di potere. I demòni sono tutti sottomessi gli uni agli altri, sono tutti in relazione di competizione per il potere, e questo li rende tutti schiavi gli uni degli altri. L’inferno è un’immensa galera di schiavi di schiavi.

Gesù invita i discepoli a guardare dall’altra parte, a guardare dalla parte del Cielo, del Regno di Dio. Li invita ad essere coscienti della novità di rapporto con Dio e il prossimo che Lui stesso ha reso possibile rivelandosi al mondo. Con Dio non c’è sottomissione: con Dio e in Dio c’è solo comunione, amore di comunione e comunione di amore. I nostri nomi sono scritti nei cieli: siamo iscritti, conosciuti, accolti alla tavola del banchetto della comunione di Dio.

Sì, c’è un posto già fissato per noi in Cielo, un posto che non è futuro, perché è un posto che consiste tutto nel rapporto con Dio, un posto quindi già occupabile, a cui ci sediamo a mangiare e bere e dialogare con Dio ogni volta che ci ricordiamo di Lui, che ci ricordiamo che Lui ci ama ed è lì ad aspettarci, come il padre misericordioso della parabola (cfr. Lc 15,11-32).

Gesù richiama i suoi discepoli a spostare la gioia del loro cuore, della soddisfazione del loro cuore, da una logica di potere a quella della comunione. Che è una logica che non teme altro insuccesso che quello di dimenticare l’amore di Dio, di dimenticarcene nel rapporto con Lui e di dimenticarcene fra di noi. La vita ci è data per vivere nella memoria esultate di Cristo che abbiamo sentito espressa dal vangelo che abbiamo ascoltato: «In quella stessa ora [che densità avrebbe ogni istante se lo vivessimo con la coscienza con cui viveva Cristo!] Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».» (Lc 10,21-22)

In Gesù non c’è nessuna traccia di gioia per un successo, per una vittoria del suo potere: in Lui c’è solo la gioia della comunione che la Trinità è e offre a tutti, in totale gratuità. Una comunione in cui si riceve tutto da Dio, in cui si conosce tutto di Dio, perché Dio è tutto Comunione di Amore.

La gratuità è il prezzo della comunione con Dio, il prezzo del nostro posto nella Trinità. Un prezzo strano, una moneta che i piccoli possiedono, e che i grandi, i potenti e i ricchi devono guadagnarsi, comprare a caro prezzo, quello della rinuncia a pensare che le loro grandezze, potenze e ricchezze possano comprare ciò che Dio ci dona gratuitamente.

Per questo ai discepoli di Cristo, alla Chiesa, a noi, come al Vescovo Eugenio, il Signore dona sovente più insuccesso che vittoria, più perdita che guadagno, più piccolezza che grandezza. Ma la coscienza del posto gratuito che abbiamo in Cielo, e l’esperienza dell’occupazione già possibile di questo posto che ci è data nell’Eucaristia, nella preghiera, nella comunione fraterna fra di noi; la testimonianza di chi fra noi ci precede in questa esperienza, tutto questo cambia il nostro sguardo sui nostri fallimenti, sulle prove, sulle perdite sempre presenti nella vita. Esse non sono un nemico, non sono una minaccia alla nostra gioia. Sono piuttosto – e questo Don Eugenio, sulle tracce di santa Teresina, ce l’ha veramente mostrato – una grazia che vale più della vita, perché ci mettono nel cuore il senso della gratuità come valore unico dell’esistenza, il solo che guadagna e possiede Dio nell’accoglienza del suo abbraccio.

Fr. Mauro-Giuseppe Lepori, Abate Generale OCist

| © Marco Gianinazzi
6 Ottobre 2022 | 17:10
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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