San Pietro
Ticino e Grigionitaliano

Misericordia e giustizia, le due ali del Vangelo del giorno

Il vangelo di domenica 30 agosto (Matteo 16, 21-27) offre interessanti spunti di riflessione, che ci ricordano come il Dio della misericordia non operi mai a danno della giustizia. Il brano assume interesse maggiore, se si considera che questo dialogo tra Gesù e l’apostolo Simon Pietro avviene dopo un altro dialogo «cardine» del vangelo di Matteo (e unico nei vangeli canonici), quel dialogo che costituisce il fondamento biblico del primato petrino, nel quale, al contrario, Gesù loda il principe degli apostoli e lo definisce addirittura beato.

Qui, invece, Cristo appella Pietro nientemeno che con il titolo di «Satana», cioè avversario, contrario alla volontà di Dio. Come del resto facciamo spesso anche noi, Pietro continua a preferire il Tabor al Golgota, il monte della rivelazione al monte della spoliazione di sé e del sacrificio. Eppure, si sale sul Tabor per comprendere meglio il Golgota, che rappresenta il fine della vita cristiana.

Questo non vuol dire che Dio desidera la nostra sofferenza ad ogni costo. Dio non è sadico, ma, al contrario, ci dice che per essere davvero beati, cioè felici – cosa che ogni uomo desidera per natura di essere, cosa che anche Pietro desidera, tanto che Gesù stesso lo riconosce: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Matteo 16, 17) – bisogna essere disposti alla rinuncia. Ci sono dunque cinque punti sui quali meditare.

Il primo: «Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Scandalizzare significa letteralmente dal greco antico «fare lo sgambetto». Pecchiamo di scandalo quando istighiamo il prossimo a credere come vera e buona qualcosa che in realtà è falsa e malvagia. Lo scandalo è un peccato orribile, più volte nominato e condannato da Gesù. Non è raro scandalizzare il prossimo anche con argomenti teologici e religiosi: è quello che cerca di fare in questo brano san Pietro, quando, dopo aver sentito da Gesù che dovrà essere ucciso, dice «Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai».

Il secondo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua, perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Qual vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?». Questo paradosso (perdere la vita per trovarla) ci ricorda quella che in filosofia e teologia si chiama una verità «antropologica» – cioè legata alla natura dell’uomo – fondamentale. Pietro continuerà a preferire il Tabor anche dopo la Passione e la Resurrezione del Signore, fino al giorno di Pentecoste, perché è proprio della natura umana, corrotta dal peccato originale e continuamente deturpata dai vizi, ricercare e preferire ciò che è piacevole e immediato, anche nelle cose spirituali. Ma Gesù ci ricorda che è lui la vita dell’anima (cfr. Giovanni 14, 6): chi perde la sua grazia con il peccato, perde la propria vera vita.

Il terzo: «Poiché il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni». Dio è misericordia, certo, ma la misericordia che non considera e non sa calcolare tra meriti e bisogni altrui non è vera misericordia, ma pusillanimità, come la chiamavano gli antichi, cioè «piccolezza d’animo». Un vecchio adagio popolare recita che «il medico pietoso fa la piaga verminosa». Misericordia e giustizia sono le due facce della stessa moneta. Quando si dividono, nascono le piaghe del lassismo e del rigorismo, piccoli errori di misurazione iniziali che portano a gravi sbagli di calcolo finali.

Gaetano Masciullo

San Pietro
30 Agosto 2020 | 07:17
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