Gesù riunisce in se stesso autorità e potestà

La parola chiave di questo brano del vangelo di Marco, proclamato nella IV domenica del tempo ordinario, sembra essere ›autorità’. Possiamo notare una doppia dimensione di questa ›autorità’ di Cristo: primo, nelle parole e nella dottrina, in quanto maestro, perché «insegnava loro come uno che ha autorità» (Mc 1,22); secondo, anche nelle opere, che seguono la dottrina, perché è dopo aver liberato un uomo da uno spirito impuro che i presenti nella sinagoga ribadiscono ancora: «Un insegnamento nuovo: comanda persino agli spiriti impuri con autorità e gli obbediscono!» (Mc 1, 27).

Ma cosa vuol dire precisamente la parola ›autorità’? È una parola che ha perso il suo significato più autentico e profondo. La parola greca qui usata è in realtà diversa – ἐξουσία – ed è un termine di origine politica, che indica propriamente la trasmissione del potere: è un chiaro riferimento al potere che Cristo ha ricevuto da Dio Padre. È un termine dunque in verità più forte di ›autorità’: anche la traduzione latina della Bibbia – la Vulgata di san Girolamo – usa la parola potestas. Nella mentalità di molti popoli antichi – inclusi ebrei, greci e romani – autorità e potere non erano considerati due termini sempre perfettamente sovrapponibili. L’autorità ha una dimensione morale, il potere una dimensione politica.

Infatti, la parola auctoritas ha la stessa radice della parola italiana ›autore’. Colui che fabbrica un oggetto conosce profondamente la natura di ciò che ha prodotto. Un vasaio, ad esempio, ancor prima di produrre il vaso, ha ben chiara in mente l’idea di quello che si accinge a creare. Non a caso, troviamo proprio questo esempio nella Scrittura: «Forse il vasaio è stimato pari alla creta [che lavora]? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce [ciò che ha fatto]»?» (Isaia 29,16). Dal momento che Dio conosce la natura dell’uomo, egli sa ciò che conviene all’uomo per essere felice e si fa maestro. Egli poi trasmette questa autorità a uomini, che tuttavia non diventano padroni della rivelazione. Quando Israele uscì dall’Egitto, Mosè divise il popolo in due parti: da una parte i leviti, custodi del culto ma «senza eredità» (autorità), dall’altra parte le restanti undici tribù, custodi della vita politica ma senza riguardi religiosi e morali (potestà). Questa divisione era necessaria per evitare che chi gestiva la cosa pubblica non si arrogasse una supremazia morale e chi custodiva la dottrina non la imponesse con la forza, andando contro la libertà degli esseri umani: nessuna azione retta, infatti, se forzata, è giusta.

Gesù insegnava e agiva con potestà a Cafarnao. C’è infatti un solo punto in cui autorità e potestà coincidono perfettamente e questo punto è Dio, dal quale scaturiscono sia l’una che l’altra. Gesù allora, in questa pagina di vangelo, si manifesta ancora una volta come Dio. Anche a livello di discendenza, notiamo che Gesù è «figlio di Davide», cioè Re, ma allo stesso tempo è figlio di Maria, la quale apparteneva alla tribù di Levi (come dimostra il fatto di essere imparentata con il sacerdote Zaccaria e figlia ella stessa di Anna, secondo la tradizione, figlia del levita Matan). Sono così riuniti in lui autorità e potestà.

Gaetano Masciullo

31 Gennaio 2021 | 07:53
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