Ticino e Grigionitaliano

La misura dell'amore è la totalità

Per spiegare l’avvento del regno dei cieli, il vangelo di domenica 19 luglio – nella sua forma lunga – ci presenta tre parabole: la parabola del grano e della zizzania, la parabola del granello di senape e la parabola del lievito. Le tre parabole, apparentemente disconnesse, sono in realtà strettamente collegate tra loro. Tutte e tre hanno qualcosa in comune: il regno dei cieli non è riferimento dell’aldilà, ma di qualcosa che è presente già in questa vita. Infatti, Gesù stesso ci rivela che il campo in cui l’uomo semina il seme buono è «il mondo» (Matteo 13,38), questo mondo. Giustizia vuole che la zizzania – cioè «i figli del maligno» (Matteo 13,38) – cresca insieme al grano. Il tema del male che convive con il bene, ed anzi quasi lo soffoca, è un tema molto ricorrente nella Bibbia: si pensi al libro di Giobbe, che affronta il grande dramma della sofferenza apparentemente insensata. L’uso della zizzania come metafora non è casuale: se cercate online l’immagine di questo vegetale (lolium temulentum) vi accorgerete che possiede spighe molto simili a quelle dei cereali. È un male, dunque, che confonde e che si confonde con i figli della luce. Il popolo che ascoltava le parole di Gesù, inoltre, sapeva bene che la zizzania, pur avendo somiglianze col grano, presenta in realtà un’elevata tossicità.

Tante volte la presenza della zizzania nelle nostre vite ci scombussola e quasi ci induce a perdere fiducia in Dio. Gesù invece ci avverte, quasi a dire: non preoccupatevi, sono io a supervisionare il mio campo e vedo bene che c’è sia la zizzania che il grano, rimuoverò il male a tempo debito. È un male che, proprio come la zizzania, si dirama in più direzioni: sociale, ma anche individuale. Anche la nostra anima è un campo (ricordate il vangelo di domenica scorsa?) e anche dal nostro cuore dobbiamo togliere i semi della zizzania, cioè i vizî. Ma ecco che le altre due parabole ci rivelano il segreto per trovare rifugio, nonostante la presenza del male nella nostra vita. Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, il più piccolo dei semi che, una volta cresciuto, diviene un albero enorme, dove anche gli uccelli fanno il nido. È l’immagine stessa di Cristo e quindi della Chiesa: Gesù è il seme che deve cadere in terra e morire per produrre molto frutto (Giovanni 12,24), ma dalla sua resurrezione nasce la Chiesa, che è divenuta enorme e dove tutti i popoli vi trovano dimora e guarigione attraverso i sacramenti.

Nell’ultima parabola, Gesù ci dice che il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina, affinché esso possa fermentare. Quest’ultima parabola – che forse è la più «ermetica» tra le tre – è spiegata in maniera molto affascinante da sant’Agostino. La donna che impasta è immagine della sapienza di Dio, ossia dello stesso Cristo. Il lievito, invece, che è l’oggetto diretto di paragone per spiegare il regno dei cieli, è immagine della carità, la quale per fermentare, cioè per crescere, ha bisogno di tre misure di farina. Queste tre misure sono riferimento a quanto è scritto nell’Antico Testamento, dove si legge che Dio chiese al popolo di essere amato «con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Deuteronomio 6,5). La misura dell’amore è infatti la totalità.

Gaetano Masciullo

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19 Luglio 2020 | 06:51
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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