Internazionale

Il messaggio di Charles de Foucauld per il mondo di oggi e per la Chiesa

Riproponiamo di seguito la traduzione italiana dell’articolo di Marc Hayet, membro dei Piccoli Fratelli di Gesù, sulla spiritualità di Charles De Focauld, composto nel 2016 nell’occasione del centenario della sua morte. Il contributo completa idealmente la serie di articoli dedicati alla figura del Santo e curati, sulle pagine di Catholica, negli scorsi mesi, dallo storico Paolo Binda.


Vorrei semplicemente condividere con voi alcune cose di questo uomo che mi stanno a cuore, mi toccano e mi fanno vivere.

Andare senza paura nel mondo, per incontrare chi è più lontano e chi è diverso

È sorprendente il cammino che Dio ha fatto fare a Carlo dopo la sua conversione: nel desiderio di seguire Gesù di Nazaret, che lo ha affascinato, egli passerà da una vita la più separata dal mondo (monaco dietro le mura di un chiostro e poi eremita in un capanno da giardino) a una vita completamente inserita in un ambiente del tutto diverso dal suo – i Tuareg dell’Algeria – dove si è lasciato accogliere come uno di loro. Voleva vivere per Gesù e Dio gli ha fatto scoprire che per vivere per Gesù doveva andare dove Gesù era stato: nel mondo, e in particolare tra i più lontani, i più abbandonati, coloro che non hanno rilevanza sociale. Andarci per fare cosa? Per portare loro il messaggio evangelico: Dio ama tutti gli uomini!

Approfondirà questo durante tutta la vita, riflettendo su Nazaret, fino a scrive re quel famoso testo: niente abiti speciali, come Gesù a Nazaret; niente clausura, come Gesù a Nazaret; non separato dal villaggio ma vicino; non grandi case, né grandi terreni, e nemmeno grandi elemosine, come Gesù a Nazaret: «La tua vita di Nazaret si può vivere ovunque: vivila nel luogo più utile al tuo prossimo».

Di conseguenza, la missione di portare il Vangelo nel mondo, ai più lontani, si allarga: non solo nei «paesi di missione», ma ovunque, là dove noi ci troviamo, là dove la gente è lontana dal vangelo, in casa nostra, nella società di oggi.

Quello che trovo molto interessante è che Carlo si rende conto a poco a poco che tale missione è una missione di tutti i battezzati; non solo o principalmente dei sacerdoti, ma innanzitutto una missione di tutti i fedeli battezzati. Arriva persino a dire che il battezzato comune è probabilmente più indicato del prete. Ci sono molti testi nell’ultima parte della sua vita in cui menziona Priscilla e Aquila, due laici che San Paolo cita nelle sue lettere e che furono suoi strettissimi collaboratori. Ad esempio un testo come questo, in una lettera a Joseph Hours, un laico di Lione:

«Come lei dice, il mondo ecclesiastico e quello laico si ignorano talmente che il primo non può dar nulla al secondo. Accanto ai sacerdoti, occorrono delle Priscilla e degli Aquila, che vedano quel che il prete non vede, penetrino dove lui non può entrare, avvicinino chi lo evita, evangelizzino mediante un contatto benefico, una carità che si espande su tutti, un affetto sempre pronto a donarsi, un buon esempio che attragga coloro che voltano le spalle al prete e gli sono ostili per pregiudizio».

È interessante quest’idea che: i laici cristiani sono il nucleo di base che costituisce la Chiesa.

Guardare il mondo non come il luogo di tutti i pericoli ma come il luogo dove si può incontrare Dio

«…quanto al raccoglimento, è l’amore che deve raccoglierti in me interiormente e non la distanza dai miei figli: Vedi me in loro; e come me a Nazaret, vivi vicino a loro, perduto in Dio.»

Magnifica espressione della vita cristiana nel mondo. Un invito a stare nel mondo senza paura, perché Dio è lì che ci aspetta: «Vedi me in loro!», questo è forte! Naturalmente non è Dio che vedo, è l’altro, e devo guardarlo così com’è; ma guardando l’altro con amore, incontro Dio perché Dio è con lui.

È anche un invito a fare di ogni evento e di ogni incontro una preghiera, un incontro con Dio, un «occhiatina verso il cielo». Questo trasforma la nostra vita. E questo ci fa «pregare senza sosta».

Carlo tornerà molto spesso sull’idea che l’amore di Dio e l’amore degli uomini crescono insieme: «abbiamo un solo cuore, lo stesso cuore con cui amiamo Dio è anche quello con cui amiamo gli uomini: se il nostro cuore si scalda, si infiamma e si intenerisce nel praticare l’amore del prossimo, allo stesso modo si infiamma e si intenerisce ancora di più per amare Dio».

Ascoltare Dio che parla: lasciarsi toccare e scuotere dall’incontro con l’altro

È la prima volta nella sua vita che Carlo fa un lavoro manuale duro, il lavoro nei campi della Trappa:

«Si comprende bene il prezzo di un pezzo di pane, quando si sperimenta di persona quanta fatica costa per produrlo!…».

È interessante vedere che è lasciandosi toccare dalla situazione dei poveri che Carlo si lascia scuotere e mettere in discussione, pronto, alla luce di quegli interrogativi, a rimettere in causa il modo di vivere la sua chiamata: gli avvenimenti sono per lui come la voce di Dio. Sarà la stessa cosa, per esempio, quando Carlo, ammalato, viene salvato dai Tuareg, con il cambiamento che avviene in lui grazie a quella sincera condivisione.

Anche questo mi sembra un messaggio per noi oggi: ascoltare Dio che ci parla attraverso la condivisione della vita delle persone con cui si vive: il mondo, il mio quartiere, il mio pianerottolo, la mia famiglia, ecc. Camminare con l’altro, specialmente con chi non conta, lasciarmi toccare dalla sua sofferenza, ascoltare ciò che Dio vuol dirmi attraverso la sua vita; questo mi può portare fino a sconvolgere e riorientare la mia esistenza.

Annunciare il Vangelo mediante un atteggiamento di dialogo: «l’apostolato della bontà»

In mezzo ai Tuareg musulmani, che hanno un «bagaglio» culturale e religioso completamente diverso, Carlo vede bene che le parole del Vangelo «non dicono nulla» e, di conseguenza, se vuole annunciare il messaggio di Gesù, deve farlo con la vita: dove le parole del Vangelo non parlano, è il vivere secondo il Vangelo che deve parlare del Vangelo. Mi sembra molto attuale come situazione e come risposta! Per Carlo, ogni battezzato – prete, laico, religioso – può (e deve) vivere questo.

Molto prima dell’aratura e della semina, c’è un «lavoro di dissodamento», basato su dei contatti stretti. Ogni battezzato, là dove vive, è responsabile del Vangelo, è un «missionario isolato», un’«avanguardia». Per quanto vada lontano in luoghi dove il Vangelo non è conosciuto, egli è incaricato di una missione. Quei luoghi a volte sono «troppo lontano» perché le parole del Vangelo possano avere un senso; ma non sono mai «troppo lontano» perché il cuore del Vangelo vi possa pulsare. È ciò che Carlo chiamerà «l’apostolato della bontà».

«Soprattutto bisogna vedere in ogni essere umano un fratello – «voi siete tutti fratelli, voi avete un solo Padre che sta nei cieli» – vedere in ogni essere umano un figlio di Dio, un’anima redenta dal sangue di GESÙ, un’anima amata da GESÙ, un’anima che dobbiamo amare come noi stessi e per la cui salvezza dobbiamo lavorare».

Il dialogo è prima di tutto il dialogo dell’amore offerto: «soprattutto, vedere in ogni essere umano un fratello». Prima che io possa parlare loro di Dio, le persone vogliono vedere il mio comportamento. Prima che io possa parlare loro di Dio, le persone si aspettano che io le ascolti quando mi parlano della loro vita. Rifiutarsi di voler convincere l’altro a tutti i costi, significa cercare di capirlo, capire cosa può essere un ostacolo in lui, che cosa lo rende «malato, ferito» come dice Carlo.

L’atteggiamento fondamentale del dialogo: credere che l’altro è sincero ed è in sincera ricerca con la luce di cui dispone; non dubitare della sua buona fede, non dubitare della sua capacità di aprirsi; arricchirsi dei suoi valori.

Ma questo atteggiamento di dialogo che sa riconoscere il bene nell’altro, che sa dire all’altro il bene che c’è in lui, che sa chiedere aiuto all’altro, vale anche nel mio rapporto con la vicina di casa o con il giovane del quartiere che se ne sta con le mani in mano senza far niente, anche se la mia relazione con loro resta limitata!

Aver fiducia nell’opera dello Spirito che agisce nel cuore di ogni persona significa anche aver fiducia nell’uomo e crederlo capace di una risposta libera e retta, se è fedele ai valori che ha ricevuto. Soprattutto, significa riaffermare che «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità». Cfr. la preghiera di Carlo: «Mio Dio, fa che tutti gli umani vadano in paradiso».

È sorprendente vedere quanto Carlo insista affinché i cristiani vivano le grandi dimensioni della vita: amore, rispetto degli altri, sobrietà, ecc., cercando di fare in modo che questo possa attirare tutti: «cercare di impregnare di questi valori tutti coloro con i quali essi sono in contatto, farli apprezzare, far venir voglia di viverli»: una specie di grande fiducia nella rettitudine delle persone: queste sono capaci di desiderare il bene, di conformare ad esso la loro vita: in altre parole anche se non possono confessare il vangelo, possono aderirvi e praticarne i valori.

Vivere e portare il vangelo della tenerezza

Il mondo odierno è crudele: è un mondo di competizione e guai a chi è piccolo e debole! Una delle luci che Carlo de Foucauld ci offre, è che il nostro modo di stare nel mondo deve essere quello di portatori di tenerezza. Un esempio, questa meditazione a Nazaret sul Vangelo della resurrezione della figlia di Giairo:

«Cerchiamo di essere infinitamente delicati nella nostra carità di avere quella tenera delicatezza che scende nei dettagli e, con gesti da nulla, sa riversare tanto balsamo nei cuori: «Datele da mangiare», dice Gesù. Scendiamo anche noi, con coloro che ci sono vicini, nei piccoli dettagli . rechiamo loro sollievo con le attenzioni più minute; cerchiamo di avere con coloro che Dio ci mette accanto quelle tenere, delicate e piccole attenzioni che dei fratelli affettuosi avrebbero tra di loro e che madri affettuose avrebbero verso i loro figli».

Riassumendo quello che ho cercato di esprimere, direi che per me, ciò che trovo centrale nel messaggio di Carlo de Foucauld e che lo rende attuale è un messaggio decisamente rivolto verso il mondo, con uno sguardo positivo, decentrato da noi stessi, per portare il vangelo dell’amore, soprattutto ai più fragili e ai più lontani. Portare il messaggio dell’amore attraverso un vero atteggiamento di dialogo. Dialogo significa:

  • Camminare con l’altra persona con pazienza, rispettando chi è e ciò che ha vissuto.
  • Riconoscere la parte feconda di verità che ogni persona porta dentro di sé.
  • Entrare in una relazione di reciprocità, dove accetto di ricevere dall’altro.
  • Aver fiducia che Dio parla al cuore e che l’uomo è capace di una giusta risposta.
  • In questo insieme di atteggiamenti, far «parlare» il Vangelo: è la vita evangelica che parla del Vangelo.

Vivere il Vangelo della tenerezza con tutti e specialmente con i piccoli, con chi è umiliato, con chi è lasciato in disparte.

Tutto questo offre un magnifico ritratto del cristiano nel mondo d’oggi, e si potrebbe riassumere con questa frase di fratel Carlo: «Innanzitutto vedere in ogni essere umano un fratello!»

Marc Hayet

Prima puntata: Charles de Foucauld, da ateo a «uomo di Dio» in Algeria

Seconda puntata: Charles de Foucauld. Viaggiatore e geografo, alla costante ricerca della Verità

Terza puntata: Charles de Foucauld: Un piccolo, grande seme per molte famiglie spirituali

15 Luglio 2022 | 06:32
Tempo di lettura: ca. 7 min.
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