Ticino e Grigionitaliano

I commenti al Vangelo di domenica 26 giugno

Calendario Romano

Anno C / Lc 9,51-62 / XIII Domenic del Tempo Ordinario

Gesù di Nazareth è il solito esagerato

di Dante Balbo*
Raramente nel Vangelo si trovano questioni sfumate, i contorni sono netti, anzi, spesso esasperati. Per seppellire Gesù si sono comprati trenta chili di aromi; per sopperire a una mancanza di vino, Gesù ne procura
600 litri; con 5 pani e due pesci sfama 5’000 uomini e avanzano 12 ceste di pani e pesci. Quando si riferisce alla condizione umana, il maestro si spinge all’estremo con affermazioni come chi non odia il padre e la madre non è degno di me, chi non rinnega sé stesso non può seguirmi, chi scandalizza un bambino meglio si leghi una macina al collo e si getti in mare.
Gerusalemme è la città amata e quella che rifiuterà il Messia cacciandolo fuori e crocifiggendolo. Si potrebbe
continuare, citando i paradossi delle beatitudini, l’amore ai nemici, ma quello che è sempre più evidente, seguendo la vita di Gesù riguarda la coerenza con cui ha dato seguito alle sue apparenti esagerazioni. La stessa sua presenza nella storia è un eccesso d’amore, per il quale Dio si è costretto nella fragilità umana di un corpo, un pensiero, emozioni e bisogni, passioni e pianti. Non solo, perché questo amore lo ha portato fino alla fine, alla morte, al dono totale di sé.

Questo è il contesto del Vangelo della 13° domenica del tempo Ordinario, in cui Gesù si misura con chi vorrebbe seguirlo o lo rifiuta. Proprio perché sono chiare le condizioni per essere suo discepolo, il Nazzareno non risparmia gli estremi. Ad uno dice che il Figlio dell’uomo non ha un posto dove posare il capo, tanto è costantemente spinto dall’amore; ad un altro che sta affrontando un lutto, rivolge una chiamata esplicita e suggerisce che i morti seppelliscano i loro morti, richiamando la vita senza compromessi di chi si fa suo discepolo; infine ad un terzo ricorda che la scelta è radicale, come quando si fa un solco nel campo, in cui non si può tornare con l’aratro. Esagerato? Certo, ma di questa ampiezza e profondità è assetato il nostro cuore e accontentarsi di meno sarebbe triste.

*Dalla rubrica Il Respiro spirituale di Caritas Ticino su TeleTicino e su YouTube

Calendario Ambrosiano

Anno C / Mt 1,20b-24b / Domenica III dopo Pentecoste

La vicinanza di Gesù, contro la minaccia del male

di don Giuseppe Grampa
L’evangelo di questa domenica ci riporta che un angelo indica a Giuseppe il nome da dare al bambino
che nascerà da Maria: «Gesù, egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Così, il peccato compare fin
dalle prime pagine della Sacra Scrittura. Oggi leggiamo anche il racconto di quello che siamo soliti indicare
come «peccato originale». C’è una domanda che non possiamo evitare e che non a caso accompagna la storia dell’umanità fin dalle origini: perché il male? Quale la sua origine? Chi ne è l’autore? A questo interrogativo – da dove il male? – risponde anche la grande tradizione ebraica con la seconda pagina della Bibbia. È importante che sia la seconda pagina. Infatti la prima pagina, lo ricordiamo bene, narra la creazione scandita dal ritornello: «E Dio vide che era cosa molto buona». La creazione uscita dalle mani di Dio è buona. All’origine non ci sono due principi uno positivo e uno negativo, all’origine vi è solo una creazione buona perché buona, inguaribilmente buona: è questa l’intenzione del Creatore. Ma allora, ancor più inquietante risuona la domanda: da dove il male? Ecco la seconda pagina biblica, il racconto che abbiamo ascoltato nella prima lettura, nel giardino di Eden, presso l’albero della conoscenza, racconto che siamo soliti dire del peccato originale. Non è, ovviamente, la cronaca di un evento storico ma un grande racconto mitico che attraverso la simbolica del frutto dell’albero allude alla libertà dell’uomo e della donna che si sottraggono a Dio, alla sua parola. Ma il peccato non è l’ultima parola e già nel giardino di Eden risuona la promessa del Salvatore, nato da donna. Il suo nome sarà Emmanuele cioè «Dio con noi». Il suo nome sarà Gesù, cioè «Dio salva». Sconfiggiamo, allora, il sospetto che Dio sia pericoloso rivale dell’uomo e della sua libertà: è con noi, non sopra di noi né contro di noi. Con noi, per salvarci: perché non avvenga che anche noi ci sottraiamo alla sua presenza, ci nascondiamo dal suo sguardo, diffidando di lui, temendolo.

26 Giugno 2022 | 06:20
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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