Una croce in vetta (archivio)
Ticino e Grigionitaliano

I commenti al Vangelo di domenica 23 luglio

Calendario Romano XVI Domenica del Tempo Ordinario

Di fango e di luce, chiamati a splendere

di Dante Balbo

Un salmo dice da parte del re, «sterminerò ogni mattina tutti gli empi dal paese» per indicare lo zelo del sovrano per proteggere il proprio regno dal cancro dell’idolatria e della malvagità di chi non rispetta la legge. La nostra tentazione è la stessa: il Messia dovrebbe spazzare via i nemici di Israele, i cattivi, così rimarrebbero solo i buoni, fra i quali ovviamente ci siamo noi.
Il Maestro nella sedicesima domenica del Tempo Ordinario ci avverte che il mondo non è fatto così, che il campo in cui Dio ha seminato il buon grano dell’umanità salvata è infestato dalla mala erba che a sua volta il maligno ha piantato. Un’interpretazione sociale di questa parabola è pericolosa, perché il nostro giudizio è limitato: man mano che invecchiamo ci rendiamo sempre più conto che il mondo non è bianco o nero.
Un esempio si trova ancora nel Vangelo, al capitolo ottavo del testo di san Giovanni, in cui una vedova colta in flagrante adulterio, non viene lapidata da chi riconosce di non essere senza peccato, proprio a partire dai più anziani.
Gesù entra ancora più in profondità e spiega che non si può strappare la Zizzania, perché si finisce per rovinare il grano alla radice, alla quale si intreccia. In altre parole, la nostra vita non è mai buona o cattiva, ma sempre un intreccio di luce e fango, di bellezza e cadute, di slanci e fragilità: se separata arbitrariamente si spezza o in una illusione di bene assoluto, o nella incapacità di perdonarci.
La Promessa di Gesù è che alla fine il buon grano crescerà e la zizzania verrà gettata nel fuoco, dimenticata dalla misericordia di Dio, perché noi siamo destinati alla luce, alla pienezza del frutto maturo.
Il fango di cui siamo fatti ci appesantisce, ma lo sguardo al Signore che ama la nostra realtà luminosa e splendente, ci aiuterà a riconoscere che dalle nostre brutture può spuntare un germe di bene, un’occasione per riconoscere la mano benevola e tenera del nostro Creatore.

Calendario Ambrosiano VIII Domenica dopo Pentecoste

Riscoprire ogni esistenza come vocazione

di don Giuseppe Grampa

Il nostro Dio chiama e due testi della liturgia odierna sono racconti di chiamata: Samuele e i primi quattro apostoli. Fin dalla prima pagina della Scrittura sacra Dio chiama: con la sua parola chiama all’esistenza le cose che non sono. Ma soprattutto chiama uomini e donne perché ascoltino e accolgano la sua parola. Se Dio è voce che chiama, allora l’uomo e la donna sono orecchio che ascolta. Di fronte a Dio non siamo esseri inerti o passivi, siamo una libertà chiamata all’ascolto. Il termine vocazione è, nell’uso corrente, riservato ad alcune persone che sarebbero raggiunte da un appello singolare, uomini e donne dedicate alla vita sacerdotale o religiosa. Non parliamo di vocazione per la scelta coniugale e familiare. Dobbiamo, invece, ricuperare l’ampiezza di questo termine: per ogni essere umano è la chiamata, la vocazione, perché nessuno è nel mondo per caso o per sbaglio. Solo riscoprendo l’esistenza, ogni esistenza, come vocazione possiamo vincere quella terribile parole di Shakespeare nel Machbeth: «La vita umana? Una storia piena di fragore e di furia raccontata da un idiota e che non vuol dire niente». L’insensatezza che talvolta corrode i nostri giorni può esser vinta e trovare senso riscoprendo la vita come vocazione, ovvero come disegno, progetto. Difficile riconoscere un senso alla propria esistenza quando mancano le condizioni indispensabili perché si possa costruire, con un lavoro dignitoso, il proprio futuro. Ci sono nella pagina evangelica odierna due piccoli dettagli significativi. Il primo: la vocazione non ha un luogo altro, diverso rispetto ai luoghi del vivere quotidiano. La parola del Signore raggiunge Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni sulla riva del lago, intenti alle operazioni del dopo pesca. Lo scenario della vocazione non è necessariamente il Tempio o il silenzio della preghiera. La Voce ci raggiunge là dove viviamo, dove lavoriamo, nella nostra quotidianità. E il secondo dettaglio: la risposta è immediata, senza indugi: così come sono, i quattro pescatori vanno dietro al Maestro.

Una croce in vetta (archivio) | © hugues-de-buyer-mimeure-321544-unsplash
22 Luglio 2023 | 17:51
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