Ticino e Grigionitaliano

I commenti al Vangelo di domenica 19 febbraio

Calendario Romano Anno A / Mt 5, 38-48 / VI Domenica del Tempo ordinario

La santità, preziosa dalla buccia al nocciolo

di Dante Balbo*
Nella settima domenica del Tempo ordinario, le Sacre Scritture non pongono una domanda, non dubitano, ma affermano che chi ama e conosce il Signore, è santo, perché Dio stesso è santo. Il testo è quello del libro del Levitico, uno dei cinque documenti riconosciuti come il fondamento del primo testamento. Lo scritto, dedicato alle norme della purità legale, cioè alle condizioni in cui un uomo poteva accostarsi al Signore, parte da una premessa importante. Dice infatti il signore a Mosè: «Siate santi, perché io il Signore, sono santo». «Santo» significava allora «separato», «diverso», «unico», «non contaminato dal mondo». Essere Santo come Dio significava dunque non confondersi con gli altri popoli e i loro culti e compiere il primo dei comandamenti: «Ascolta Israele, il Signore è Dio, il Signore è uno». Separato dal mondo vuol dire anche lontano dal peccato, da tutto ciò che ci divide da quello cui siamo destinati, dalla felicità che ci appartiene, dalla dignità che ci è propria. Gesù per questo ha pregato, perché fossimo nel mondo senza essere del mondo. In questo senso essere santo comporta anche appartenere a Dio, accogliere la sua relazione, assomigliare a Lui nella capacità di donarsi, fidarsi di Lui come il Figlio del Padre, stare immersi nel suo amore anche quando la sventura, la morte, la solitudine, l’abbandono bussano alla porta. Lasciarci infiammare da questo fuoco ci plasma, scava in noi fiumi di compassione, ci rende capaci di stare davanti a Dio e intercedere per i fratelli, per le nazioni, per il mondo. Quello che noi vediamo sono i miracoli, le virtù eroiche, la capacità di realizzare in una vita breve opere che restano nei secoli, ma paradossalmente questa è solo la buccia del frutto della santità. Il nocciolo è questo radicamento profondo in Dio, che trasforma l’umanità ferita, povera, spesso umiliata, nello specchio luminoso e splendente della santità di Dio che da essa traspare.

*Il Vangelo in casa di Caritas Ticino su TeleTicino e su YouTube

Calendario Ambrosiano Anno A / Lc 15, 11-32 / Domenica ultima dopo l’Epifania

La misericordia del Padre: una Chiesa che accoglie

di don Giuseppe Grampa

Il protagonista della parabola odierna è il Padre, termine che ritorna ben tredici volte. Le sue braccia non trattengono a tutti i costi il figlio minore ma lo lasciano partire. Leggo in questo gesto un singolare rispetto della libertà di questo giovane figlio, del suo desiderio di fare nuove esperienze. Di fronte a Dio siamo esseri liberi, non costretti a stare nella casa, ma chiamati a starvi liberamente, non per consuetudine ma per scelta consapevole. Anche nella chiesa si sta liberamente non per ossequio a abitudini del passato ma per scelta che nasce dalla libertà della propria coscienza. Non giudichiamo quanti dalla Chiesa si allontanano, ma tentiamo di comprenderne le ragioni che possono anche derivare da nostri comportamenti.
L’evangelo racconta inoltre l’atteggiamento del Padre con un solo verbo di straordinaria intensità e bellezza: il Padre «ebbe compassione». Traduzione dubbia: certo è difficile rendere il trasalire delle viscere, del grembo materno. Altre volte nella Scrittura Dio ha viscere di tenerezza materna. Così in Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo bambino così da non commuoversi del figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse io invece non ti dimenticherò mai…» (Is 49,15ss.). Questo Padre è capace di tenerezza materna.
E infine un terzo dettaglio: il padre va incontro anche all’altro figlio che, persuaso della sua dirittura morale, giudica il fratello e non vuole accettarlo. Anche questo figlio che è sempre stato nella casa, lavorando, non ha fino ad ora conosciuto davvero chi è il padre, ma lo considera piuttosto un padrone: «Ecco io ti servo da tanti anni». E proprio perché non conosce il padre non riconosce neppure il fratello: «Ora che questo tuo figlio che ha divorato i beni…». La parabola ci aiuta così a tracciare il volto della Chiesa, che non solo non estromette coloro che hanno fatto l’amara esperienza del peccato, ma anzi diviene per loro luogo di accoglienza e perdono.

18 Febbraio 2023 | 17:56
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