Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova e autore del libro "Alla fine è sempre all'improvviso".
Papa e Vaticano

Don Marco Pozza racconta in un libro la «sua» via Crucis col Papa

Nella piazza san Pietro deserta rimbombano le storie del carcere. Roma, 10 aprile 2020: la via Crucis di Papa Francesco scuote il mondo durante la pandemia. Le stazioni sono commentate da colpevoli, vittime, magistrati, educatori. Nel dolore ci sono tracce di risurrezione, come nella salita di Gesù al Calvario. Don Marco Pozza, cappellano del carcere «Due Palazzi» di Padova, ha curato quella serata insieme alla giornalista Tatiana Mario. Scrittore e teologo, don Pozza conosce Francesco da tempo: «Tra noi c’è un’amicizia umana e spirituale, quasi una relazione tra nonno e nipote». Il suo ultimo libro parla proprio di quella via Crucis: «I gabbiani e la rondine, La via Lucis di Papa Francesco».

Don Pozza, che cosa rappresentano i gabbiani e la rondine?
I gabbiani sono gli animali del carcere: i detenuti li vedono radunarsi nei cortili e a loro affidano con la fantasia dei messaggi di libertà. Quella notte sulla piazza volavano i gabbiani: un segno di come il carcere fosse davvero presente a san Pietro. E poi la rondine, citata in un racconto di Pier Paolo Pasolini: un ragazzo la salva dai flutti del Tevere e spiega: «Ho tolto la rondine, ho messo al suo posto chi nella vita ha sbagliato». La rondine è un simbolo della missione di chi abita e lavora nei penitenziari.

Papa Francesco aveva pensato a voi molto prima che scoppiasse la pandemia.
Si, la proposta arrivò a settembre 2019, quando gli portai la lettera di un giovane recluso. Mi chiese che i testi non fossero scritti solo dai detenuti ma da tutta la comunità. Il carcere coinvolge una rete di persone difficile da quantificare, e papa Francesco ha una sensibilità speciale per questo mondo.

Poi arriva il virus e la via Crucis diventa ancora più simbolica. Cosa ha pensato dentro di sé?
Mi sono detto che Jorge Bergoglio non poteva prevedere il futuro, ma Papa Francesco è un profeta dei nostri tempi. Forse una vocina gli ha detto: «Preparati bene, perché a Pasqua ci sarà una situazione eccezionale ». Il 10 aprile tutto il mondo si trovava come agli arresti domiciliari: le parole di chi ha perduto la libertà, e di chi lavora con queste persone, davano un senso alla sofferenza di tutti.

Nel libro racconta quella serata. Ricorda un momento in particolare?
Finita la via Crucis, di solito il Papa fa un breve discorso. Invece quella sera fece segno al cerimoniere che non avrebbe parlato. Poi mi ha spiegato il motivo: «Marco, la vita aveva detto già tutto. Cosa dovevo aggiungere io?».

Gli autori delle meditazioni sono rimasti anonimi.
È stata una scelta condivisa: volevamo che ogni ergastolano, ogni magistrato, ogni familiare potesse identificarsi in quei racconti. Hanno parlato le storie: quattordici commenti, cinquanta candele, un Papa e un crocifisso sono stati sufficienti per stupire il mondo, cioè per far sorgere delle domande. Non servono effetti speciali: quella notte le voci del carcere hanno scritto una pagina di storia della Salvezza, e il buio della croce ha brillato di luce.

Papa Francesco e il crocifisso nella piazza deserta: la stessa immagine di un altro momento storico, la preghiera solitaria del 27 marzo scorso.
I due eventi hanno lo stesso filo conduttore, ed è proprio il vuoto. Ci voleva qualcuno che avesse il coraggio di attraversarlo, di fermarsi nel mezzo e dire parole significative per l’umanità disorientata. In un certo senso la scorsa Quaresima è stata il punto di arrivo del pontificato di Francesco fino a oggi: una grammatica del Vangelo accessibile a tutti. La via Crucis in particolare è stata una lezione di come Dio parli sempre, ma a volte ci sono troppi «pieni» che non lasciano rimbombare la sua voce. C’era forse bisogno di quei «vuoti» perché l’eco della Sua voce potesse allargarsi.

Don Marco, lei come si è avvicinato alla realtà del carcere?
Studiavo teologia a Roma, ero già prete, per caso celebrai una messa nel penitenziario di Regina Coeli. Sono cresciuto con un’idea molto rigida della giustizia ma quel giorno mi sono accorto che non avevo idea di cosa fosse realmente il carcere. Da quando sono diventato cappellano ho imparato ad avere più misericordia verso chi sbaglia e anche verso me stesso, quando non sono all’altezza delle mie aspettative.

Quali insegnamenti può trarre la Chiesa dal carcere?
È una delle periferie di cui parla il Papa, dove andare per ritrovare la freschezza del Vangelo. Non è un caso che il messaggio di Francesco, mentre incontra resistenze nella Chiesa, viene subito afferrato dai detenuti: quando hai perso tutto, e ti ritrovi solo davanti alla forza dirompente di Cristo, ti riconosci nella verità della sua Parola.

Ha parlato di resistenze nella Chiesa: Papa Francesco come affronta questa situazione?
Direi con grande serenità. L’immagine che ho di lui è di un uomo che la sera, quando va a letto, guarda il suo Dio e gli dice: «Tutto quello che oggi potevo fare, l’ho fatto. Adesso mi fido di te». Nei nostri dialoghi non mi ha mai nascosto la miseria che c’è anche nella storia della Chiesa, eppure m’insegna a cercare sempre quella percentuale di bellezza che è lì per me. È lo stile di una persona realista, in pace con se stesso. Ed è ciò che lo rende profondamente credibile.

Gioele Anni

Don Marco, cappellano a Padova e amico di Bergoglio

Cresciuto alla scuola (ideale) di don Lorenzo Milani, con nel cuore i racconti di Antoine de Saint-Exupéry, a cui dedica il suo lavoro di dottorato, don Marco Pozza (classe 1979) ordinato sacerdote nel 2004, inizia a far parlare di sé per non essersi arreso, di fronte alla latitanza dei giovani alla messa festiva nella parrocchia Sacra Famiglia, a Padova, dove era stato assegnato, andando a cercarli nei luoghi dove si ritrovano: nei bar, all’ora dell’aperitivo. Nel 2011 pubblica il suo primo libro: «Penultima lucertola a destra » e nello stesso anno diviene cappellano nel carcere di massima sicurezza di Padova. Il 6 novembre 2016, domenica del Giubileo dei carcerati, riceve una telefonata a sorpresa. Il papa lo invita a Casa Santa Marta in Vaticano, insieme ad un gruppo di detenuti padovani. Quell’incontro segna l’inizio di una amicizia tra i due, seguita da una proficua collaborazione. Nel 2017 don Marco Pozza conduce per Tv2000 «Padre nostro », una rubrica in nove puntate che ha come ospite fisso Papa Francesco. Questa esperienza confluisce nel primo libro che don Marco scriverà in collaborazione col papa, intitolato appunto «Padre nostro». Ne seguiranno altri due: «Ave Maria» e «Io credo, noi crediamo ». Ora, ai primi di giugno, è uscito un nuovo libro di don Marco: «I gabbiani e la rondine. La via Lucis di Papa Francesco», per l’editrice Rizzoli (vedi intervista a fianco). La Via Crucis di Gesù diventa così una via Lucis degli uomini, la cui sofferenza è stata riscattata da Cristo in persona: «Mai celebrata una via Crucis così, scrive don Marco, pareva davvero d’attraversare l’odio desiderando l’amore».

Di recente, Papa Francesco ha consegnato proprio a don Marco Pozza una lettera destinata all’amico e campione paralimpico Alex Zanardi, attualmente in coma per le conseguenze di un brutto incidente (leggi anche: Alex Zanardi, la disabilità come lezione di umanità).

Don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova e autore del libro «Alla fine è sempre all'improvviso».
6 Luglio 2020 | 06:19
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