Ticino e Grigionitaliano

XXI Domenica del Tempo ordinario. Commento al Vangelo

Calendario romano: Lc 13, 22-30

Le letture di questa Domenica del Tempo ordinario mettono in campo una questione cruciale e che ha dato luogo a scontri anche vivaci dentro e fuori dalla Chiesa. Il problema è la pretesa della comunità con a capo Gesù Cristo di essere depositaria della salvezza, al massimo riconoscendo che vi sia una sorta di gerarchia in cerchi eccentrici dai cattolici, fino agli uomini non religiosi ma di animo retto, che pur non conoscendo il Figlio di Dio hanno un certo merito. La contraddizione apparente sta nella differenza fra la prima lettura, in cui si dice che il Signore radunerà genti da tutti i popoli e si farà leviti e sacerdoti anche fra i lontani e il Vangelo in cui si parla della porta stretta, per cui molti sono i chiamati e pochi gli eletti. L’impasse sta nel pensiero moderno, in cui verità coincide con verificabilità scientifica. La pretesa della Chiesa sembra assurda, perché la scienza, quando afferma un concetto, automaticamente definisce tutte le altre idee come false. In realtà la porta di cui si parla non è un’idea, così come la fede cristiana non è la religione del libro, ma è una persona, una relazione, una vita offerta per noi. Gesù non è un ideologo, ma un Dio incarnato, che si propone come Salvatore, perché dà la sua vita per noi. Noi abbiamo avuto la grazia di conoscerlo nella testimonianza di coloro che lo hanno seguito fin dall’inizio e si sono tramandati questa meraviglia. Questa è la pienezza della salvezza, un dono gratuito, per il quale non abbiamo alcun merito, ma che proprio per la sua gratuità comprende ogni uomo che si apra a Lui. I disegni di Dio sono imperscrutabili, ma proprio perché si tratta di una relazione, non si può dire che va bene tutto, che le fedi sono tutte uguali e che la salvezza è una questione di impegno personale o di naturale bontà d’animo. La Porta è una sola, Gesù Cristo, e al di là di essa c’è l’orizzonte infinito di tutti quelli che l’hanno attraversata.

Dante Balbo, dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube


Calendario ambrosiano: Lc 16, 19-31

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene: nella prima il ricco e il povero sono contrapposti in un confronto impietoso; nella seconda, si intreccia, sopra il grande abisso, un dialogo mirabile tra il ricco e il padre Abramo.
Prima scena: un personaggio avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; il ricco banchetta a sazietà e spreca, Lazzaro guarda con occhi tristi e affamati. Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno.
Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Gesù non denuncia una mancanza specifica o qualche trasgressione di comandamenti o precetti. Mette in evidenza il nodo di fondo: un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo, anche se non trasgredisce nessuna legge. Prima ancora che sui comandamenti, lo sguardo di Gesù si posa su di una realtà profondamente malata, da dove sale uno stridore, un conflitto che avvolge tutta la scena.
Di quale peccato si tratta? «Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato» (Giovanni Vannucci). Ora Lazzaro è portato in alto, accolto nel grembo di un Abramo più materno che paterno, che proclama il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma «figlio» è chiamato anche il ricco, nonostante l’inferno. Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso! Una parola sola per i miei cinque fratelli! E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita. Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio che si identifica con loro. Si tratta allora di prendere, come Gesù, il punto di vista dei poveri, di «scegliere sempre l’umano contro il disumano» (David Turoldo).

p. Ermes Ronchi, Qumran.net

21 Agosto 2022 | 06:56
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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