Conferenza stampa per la presentazione del rapporto finale dell’Università di Zurigo sugli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica in Svizzera
Svizzera

Svizzera: il rapporto dell’Università di Zurigo mostra le gravi lacune della Chiesa cattolica nella gestione degli abusi

di Maurice Page/cath.ch, traduzione e adattamento di redazionecatt

Il rapporto del progetto pilota sulla storia degli abusi sessuali nella Chiesa svizzera ha identificato 1.002 casi di abusi sessuali tra il 1950 e il 2022, con 921 vittime e 510 autori. Secondo gli storici, questa potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Essi puntano il dito contro il fallimento dell’istituzione e la negligenza dei vescovi nell’affrontare gli abusi.
Presentato il 12 settembre 2023 a Zurigo, il rapporto del progetto pilota sulla storia degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica in Svizzera non contiene rivelazioni sconvolgenti, anche se è abbastanza dannoso. Una decina di casi studio dimostrano chiaramente fino a che punto l’istituzione, e in particolare i vescovi, non hanno affrontato gli abusi sessuali e come la negligenza e la protezione abbiano permesso agli abusatori di continuare la loro furia, a volte per decenni.

Una prima panoramica nazionale

Oltre a questi casi di studio, il documento del piccolo gruppo di storici dell’Università di Zurigo ha il merito essenziale di fare il punto sulla situazione attuale, di aprire piste di ricerca e di formulare raccomandazioni per le autorità responsabili in vista dell’avvio di nuovi studi più completi.

Sebbene negli ultimi anni siano stati pubblicati diversi studi storici specifici, questo è il primo studio scientifico nazionale commissionato dalla Conferenza episcopale svizzera (CFS), dall’Unione dei superiori maggiori (USM) e dalla Conferenza centrale cattolica romana della Svizzera (RKZ).

A differenza di altri studi condotti all’estero, gli storici hanno preso in considerazione non solo le diocesi, ma anche le corporazioni ecclesiastiche (chiese cantonali), le congregazioni religiose, le istituzioni cattoliche, i movimenti giovanili e le missioni linguistiche.

56% ragazzi, 39% ragazze

Sebbene il rapporto fornisca alcune cifre, esse sono ovviamente provvisorie. Gli abusi hanno coinvolto il 56% dei ragazzi e il 39% delle ragazze, e nel 5% dei casi il sesso non è stato specificato. Il 74% degli abusi è stato commesso su minori e il 14% su adulti, mentre per il restante 12% l’età non era nota. Con poche eccezioni, gli abusatori erano uomini, per la maggior parte sacerdoti.

In termini di cronologia, il 22% degli abusi si è verificato tra il 1950 e il 1959, il 25% tra il 1960 e il 1969, il 10% tra il 1970 e il 2000 e il 12% tra il 2000 e il 2022. Nell’11% dei casi, gli abusi non sono datati o si estendono per lunghi periodi.

La punta dell’iceberg

Gli abusi registrati coprono uno spettro molto ampio, che va dalle parole inappropriate allo stupro ripetuto per diversi anni, e comprende tutte le categorie di gesti sessuali inappropriati. A parte i nomi di uno o due vescovi, il rapporto è completamente anonimo sia per gli autori che per le vittime.

Per i ricercatori è chiaro che i risultati ottenuti finora riguardano solo una piccola parte dei casi di abuso, tanto grande era il velo di silenzio gettato sui fatti, almeno fino agli anni 2000. Una valutazione accurata è quindi impossibile.

Archivi più o meno ben conservati

Più di venti pagine del rapporto sono dedicate all’accesso agli archivi delle varie istituzioni. Gli storici si sono trovati di fronte a situazioni estremamente diverse: da pile di scatole sciolte in fondo a una cantina ad archivi ultramoderni in locali climatizzati e sicuri, con elenchi completi informatizzati. A ciò si aggiunge una particolarità legata al diritto canonico. Nelle diocesi esistono due categorie di archivi. L’archivio ordinario, che conserva gli atti di governo e a cui hanno accesso i vari collaboratori dell’episcopato, e l’archivio segreto, che è in linea di massima sicuro e a cui ha accesso solo il vescovo. Essi contengono tutti i fascicoli considerati sensibili, non solo le questioni di morale.

I vescovi non sono stati restii a concedere l’accesso ai ricercatori. Ma gli storici hanno incontrato situazioni molto diverse. Oltre a sistemi di archiviazione casuali, esiste una disposizione molto specifica del diritto canonico (art. 489) che stabilisce che: «Ogni anno si distruggono gli atti delle cause penali in materia di morale i cui autori sono morti, o che si sono conclusi con una sentenza di condanna risalente a dieci anni prima; si conserva un breve riassunto del fatto con il testo della sentenza definitiva». A seconda dello zelo del vescovo nell’applicare questa misura, si presenta un ostacolo insormontabile per gli storici e le vittime. Nella diocesi di Lugano, ad esempio, la lacuna è evidente e riguarda gli episcopati di Corecco e Torti.

Nessun accesso agli archivi vaticani


Le difficoltà di accesso agli archivi sono ancora maggiori nelle congregazioni religiose, nelle missioni linguistiche, nei movimenti e nelle istituzioni. Spesso incompleta, raramente inventariata, a volte situata all’estero, questa documentazione è molto difficile da consultare.

Infine, gli archivi della Nunziatura Apostolica e dei dicasteri romani rimangono inaccessibili agli storici.

Storia orale

Per il team di ricercatori, il modo per colmare queste lacune è la storia orale, cioè la raccolta di testimonianze delle vittime e delle persone coinvolte. Nell’ambito del progetto pilota, sono state esaminate solo una ventina di testimonianze spontanee. Gli autori raccomandano di lanciare una richiesta di testimonianze molto più ampia.

Questa raccomandazione è tanto più forte se si considera che gli archivi ecclesiastici riflettono principalmente la prospettiva della Chiesa e si concentrano soprattutto sugli autori degli abusi. È sorprendente notare che mentre il 90% degli autori di abusi è identificabile, solo il 70% delle vittime lo è.

Il silenzio delle vittime è stato spesso richiesto, o almeno incoraggiato. Sono state accusate di diffamazione o complicità, o addirittura ostracizzate. Le parrocchie e le comunità sono state spesso colpite. Il rapporto apre una nuova strada per la ricerca.

Aree di abuso

Gli storici hanno identificato tre aree di abuso. La cura pastorale parrocchiale, che rappresenta più della metà di tutti i casi, è di gran lunga la più importante, attraverso la liturgia, i sacramenti, l’accompagnamento personale, la catechesi e le attività parrocchiali per bambini e giovani.

Il secondo ambito è quello delle istituzioni educative e sociali legate alla Chiesa: scuole, ostelli, collegi, orfanotrofi, ecc. In questo contesto, i bambini sono stati vittime dei cappellani, ma anche di altri membri del personale, come insegnanti, educatori, presidi e talvolta anche suore. Le relazioni di potere, spesso accompagnate da violenza, erano dominanti. Si ritiene che questo sia il motivo di un terzo dei casi.

La terza area individuata è più specifica e riguarda le congregazioni religiose e le nuove comunità. In questo caso è più probabile che si tratti di abusi su adulti, soprattutto donne, commessi dal superiore carismatico o da un membro della comunità. Le recenti indagini sulla comunità di San Giovanni ne sono un esempio lampante.

Natura sistemica

È dunque possibile individuare una specificità cattolica negli abusi? Per gli storici, è soprattutto una questione di costellazioni di potere spirituale, sociale ed economico all’interno della Chiesa. L’abuso non è possibile senza potere.

A partire dagli anni 2010, si è assistito a un cambiamento fondamentale di prospettiva, passando dall’abuso come deriva individuale da parte dell’autore del reato a un approccio sistemico al legame tra abuso sessuale e relazioni di potere. In quasi tutti i casi, la relazione tra sacerdote e vittima è fortemente asimmetrica. Inoltre, gli autori spesso approfittano della ricerca spirituale della vittima per abusare di lei.

Infine, il rapporto fa riferimento ai tabù sulla sessualità diffusi nella Chiesa, in particolare alla questione del celibato, su cui i sacerdoti non sono stati seriamente formati per molto tempo. Segnala anche una certa cultura omofoba in un ambiente in cui gli omosessuali sono numerosi.

L’atteggiamento della Chiesa

Il rapporto fornisce diversi esempi che confermano come l’atteggiamento generale della Chiesa di fronte alle denunce di abusi sia stato quello di spostare i sacerdoti da una parrocchia all’altra, da una diocesi all’altra o di mandarli all’estero. A volte anche in casi in cui il sacerdote era stato condannato penalmente. Conoscendo le «debolezze» del sacerdote colpevole, i vescovi non vedevano alcun crimine in questo e passavano la «patata bollente» ad altri. Così facendo, hanno permesso a noti pedofili di continuare le loro malefatte. In alcuni casi, l’invio all’estero del sacerdote colpevole gli ha permesso di evitare deliberatamente un’indagine o un processo.

Nessun processo canonico

Secondo il rapporto, l’applicazione del diritto penale canonico non è stata coerente. Le indagini e i processi penali sono stati rari, almeno fino agli anni 2000. Nel migliore dei casi, all’abusatore veniva vietato di lavorare con i bambini. I casi venivano raramente denunciati a Roma (l’obbligo di denuncia è stato definitivamente istituito solo nel 2019 – n.d.r.).

Per molto tempo, la questione dell’»assoluzione del complice» come violazione del sacramento della confessione è stata trattata molto più severamente dell’abuso sessuale sui minori. L’aspetto notevole di questa situazione è che il «complice» a cui il colpevole dà l’assoluzione è anche la vittima dell’abuso sessuale.

Commissioni contro gli abusi

L’ultimo capitolo del rapporto offre una panoramica completa delle varie commissioni e degli organi istituiti dalla Chiesa in Svizzera per combattere e prevenire gli abusi sessuali. Illustra chiaramente i tentativi e le esperienze, talvolta difficili, che hanno portato alla situazione attuale e alla stesura del rapporto. (cath.ch/mp/traduzione e adattamento redazionecatt)

Le raccomandazioni del rapporto

A conclusione del rapporto, il team di ricerca formula una serie di raccomandazioni alla Chiesa cattolica. Esse raccomandano

  • la creazione di un punto di contatto indipendente
  • di integrare le fonti scritte con rapporti orali e di registrare sistematicamente le testimonianze delle persone coinvolte;
  • la cessazione della distruzione dei documenti rilevanti per l’argomento;
  • migliorare lo stato e la classificazione degli archivi della Chiesa;
  • l’accesso aperto agli archivi ecclesiastici per i ricercatori e gli interessati, sia in Svizzera che a livello internazionale;
  • l’apertura dell’accesso agli archivi vaticani;
  • Realizzare altri progetti di ricerca in altre discipline (sociologia, psicologia, diritto, teologia, ecc.)
  • MP/traduzione catt.ch

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Conferenza stampa per la presentazione del rapporto finale dell’Università di Zurigo sugli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica in Svizzera | © catt.ch
12 Settembre 2023 | 11:01
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