Il vescovo Bonnmain durante la conferenza stampa a Zurigo.
Ticino e Grigionitaliano

Abusi nella Chiesa in Svizzera: «Ciò che è andato distrutto non si può recuperare. Ma le persone vittime possono farsi avanti: in Ticino è prioritario!!!»

da Zurigo Laura Quadri, catt.ch

«Ciò che andato distrutto non si può recuperare. Ma i racconti diretti delle vittime sono il contributo più importante. Bisognerà incoraggiare tutti quanti, vittime o chi ha notizia di abusi, di farsi avanti. In Ticino ciò è davvero prioritario. Bisogna incoraggiare tutti coloro che sono toccati da questi fatti a farsi avanti. Perché questa è l’ora dell’azione«. Sono queste le parole che raccogliamo da mons. Joseph Bonnemain, vescovo di Coira e incaricato dalla Conferenza dei Vescovi svizzeri a più riprese di occuparsi di diversi dossier sul tema abusi, martedì mattina presso l’università di Zurigo, a margine della conferenza stampa per la presentazione del rapporto sugli abusi commessi in ambito ecclesiale in Svizzera a partire dal 1950. Il riferimento è qui al caso ticinese presentato in conferenza stampa dalla ricercatrice Vanessa Bignasca, che oltre ad aver rilevato durante la ricerca «notevoli differenze nella classificazione e inventariazione del materiale», ha constatato per Lugano la sparizione e distruzione di diverso materiale d’archivio. La distruzione dei documenti d’archivio, come riferisce il rapporto, è prevista dal diritto canonico, il quale richiede che «si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna». Tale avvenuta procedura è attestata a Lugano dalle dichiarazioni dell’allora vicario generale al nunzio apostolico che nel 1995, in una lettera, riporta come fosse stato dato ordine a un sacerdote di agire in conformità al diritto canonico da mons. Eugenio Corecco. A ciò si aggiunge la dichiarazione scritta di un altro sacerdote non identificato che afferma per iscritto a fine anni ’90, quindi nel periodo dell’episcopato di Torti, di aver operato analogamente per quanto riguardava i dossier degli ultimi cento anni di vita della Diocesi. È una procedura «prevista dal codice di diritto canonico», sottolinea Bignasca e pertanto «non è un unicum», sebbene lo stesso diritto imponga di tenere un registro dei documenti distrutti, ciò che a Lugano non è stato fatto.

Mentre sul caso ticinese si esprimerà più nel dettaglio la Curia diocesana in conferenza stampa domani, 13 settembre, la conferenza zurighese ha messo bene in evidenza i risultati dello studio a livello svizzero, commissionato dalla Conferenza dei Vescovi svizzeri (CVS), la Conferenza centrale cattolica romana (RKZ) e la Conferenza delle Unioni degli Ordini religiosi (KOVOS) e che ha permesso di portare alla luce, dal 1950 a oggi, 1’002 casi di abusi.

Presenti alla conferenza stampa, nell’affollata aula sulla Rämistrasse, i principali media del Paese, a dimostrazione dell’importanza del momento. I relatori sono introdotti, per l’ufficio stampa dell’università, da Beat Müller: oltre a mons. Bonnemain, Renata Asal-Steger, Presidente RKZ; Monika Dommann e Marietta Meier, direttrici dello studio pilota, e Jacques Nuoffer, Presidente del «Groupe Soutien aux personnes abusées dans une relation d’autorité religieuse» (SAPEC). Assieme a loro intervengono i ricercatori responsabili di singoli aspetti della ricerca, l’abate Peter von Sury a nome della KOVOS e la voce e la testimonianza diretta di Vreni Peterer, vittima di abuso.

Le iniziative future

Sempre a mons. Bonnemain è spettato illustrare le prime concrete conseguenze di questo studio e la presa a carico, da parte della Chiesa, di alcune future iniziative: «Mi rivolgo alle persone vittime negli ultimi 70 anni di manipolazione. Abbiamo taciuto, per troppo tempo, nascondendoci sotto il mantello della religione. Chi ha protetto gli abusatori ha permesso che persone impegnate nella Chiesa e che vedevano nella Chiesa una casa potessero essere ferite. Una vera e propria cultura del silenzio. I responsabili della Chiesa cattolica svizzera hanno voluto unirsi e dire insieme «basta!», con l’attenzione a ogni singolo caso. Ci siamo accorti di alcune urgenze: rivedere i rapporti di potere nella Chiesa, il rapporto alla sessualità, la formazione dei sacerdoti. Credo lo abbiamo capito tutti: siamo all’inizio di un nuovo percorso. Non dobbiamo solo chiedere scusa, ma anche riparare e prevenire e soprattutto mai dissimulare». Per questo in tutta la Svizzera, «saranno creati servizi professionali per le vittime e gli informatori, affinché gli abusi possano essere segnalati più facilmente; nel contesto della loro formazione, i futuri sacerdoti, i diaconi permanenti, i membri degli ordini religiosi e gli operatori pastorali dovranno sostenere consulti psicologici standardizzati; saranno introdotti standard minimi per la gestione dei fascicoli del personale e per la trasmissione di informazioni rilevanti sui collaboratori ecclesiastici; i membri di tutte e tre le committenti si impegnano a non distruggere più alcun documento esistente relativo ai casi di abusi o che documentino la loro gestione».

Un primo quadro complessivo

Quanto all’indagine stessa e alla completezza delle ricerche svolte, la parola è passata a Marietta Meier, direttrice del gruppo di ricerca dell’Università di Zurigo: «Abbiamo considerato la Chiesa cattolica nella sua interezza, anche per quanto concerne, ad esempio, gli Ordini religiosi. È la prima volta che si trattava in modo tanto sistematico le fonti di archivio. Abbiamo impiegato diversi metodi: lo studio delle fonti ma anche la conduzione di diversi colloqui orali con chi ha subito un abuso. È emerso uno spettro molto vasto. Nell’ambito del progetto pilota, è stato possibile identificare 1’002 casi di abusi sessuali nell’ambito della Chiesa cattolica dal 1950, con 510 persone accusate e 921 persone vittime di abuso. Quasi il 22% dei casi analizzati si sono verificati tra il 1950 e il 1959, e più del 25% tra il 1960 e il 1969. I seguenti tre decenni hanno visto occorrere circa un decimo dei casi. Tra il 2000 e il 2022, infine, si sono verificati il 12% dei casi. 149 persone accusate hanno potuto essere ricollegate ad almeno due persone vittime d’abuso. Nel 39% dei casi la persona abusata era di genere femminile, in poco meno del 56% dei casi di genere maschile mentre nel 5% il genere non è stato chiaramente identificabile sulla base delle fonti disponibili. Il 74% erano minorenni».

«No» a silenzio e minimizzazione

Ai ricercatori intervenuti successivamente il compito di ribadire gli ambiti considerati dal rapporto nel dettaglio – l’ambito pastorale, gli ordini religiosi, le scuole – per poi sottolineare l’atteggiamento di fondo. «La maggior parte dei casi portati all’attenzione dallo studio sono stati «minimizzati» e la persona dell’abusatore spesso punito in modo molto clemente», sottolinea la dott.ssa Lorraine Odier. I motivi storici di questo comportamento sono da analizzare anche in futuro. Ma a partire da un primo sopralluogo possiamo accertare che quanto constatato in altri Paesi si trova anche in Svizzera. Si constatano, a livello nazionale, trasferimenti di sacerdoti, anche da una diocesi all’altra, oppure abusatori provenienti dall’estero ospitati in Svizzera. L’inchiesta in questi casi veniva condotta in maniera lacunare, frammentaria. La svolta avviene all’inizio del 21esimo secolo quando la CVS mette in funzione una commissione di esperti dedicata a questa problematica. Da questo momento si lavorerà a ritmi diversi in tutte le diocesi».
Da qui l’appello di Monika Dommann, altra responsabile dello studio: «Bisogna indagare i motivi di questa politica del silenzio. Esprimerne, constatarne i tristi effetti, quantitativamente e qualitativamente, come abbiamo fatto. C’è ancora molto da fare ma siamo motivati». Una motivazione che si traduce in atti concreti: la prof.ssa annuncia infatti, per la segnalazione di casi utili allo studio, l’apertura di un indirizzo email: forschung-missbrauch@hist.uzh.ch. Mentre l’università di Zurigo stessa offre, da questo semestre, un ciclo di lezioni sul tema.

Richiesta di dimissioni dei vescovi

Nel corso della conferenza stampa sono state sollevate anche domande sulla responsabilità dell’insabbiamento da parte dei vescovi. «Abbiamo preso in considerazione la richiesta di dimissioni. Anche i diritti personali ne risentono. Stiamo lavorando su questa questione. Non posso dire di più», ha risposto Mons. Bonnemain.

La prosecuzione dello studio dal 2024 al 2026

A Renata Asal-Steger, per la RKZ, il compito di sottolineare invece quanto sia «un giorno davvero importante per la Chiesa cattolica in Svizzera», un «passo importante» deciso congiuntamente dalle istituzioni cattoliche più autorevoli del Paese e attuato grazie allo sguardo «disinteressato» e alle competenze della ricerca scientifica.
«Fare luce, mettere le carte in tavola»: questa, ha sottolineato Steger, è stata l’intuizione di fondo, che ha condotto a una ricerca del tutto indipendente, importante, quale primo passo, «per tutte le future ricerche», in particolare quella che gli stessi tre organi – CVS, RKZ e KOVOS – hanno deciso di affidare nell’imminente futuro, per il biennio 2024-2026, sempre all’Università di Zurigo, per la prosecuzione delle indagini, ritenendo che vi sia «ancora molto da fare». Si tratterà di indagare meglio alcuni aspetti emersi nello studio preliminare, come il caso degli abusi nelle nuove comunità, nelle missioni in lingua oppure ancora la corresponsabilità dello Stato e la specificità, più in generale, degli abusi in ambito cattolico. La studiosa ha altresì espresso il desiderio di avere quanto prima accesso agli archivi del Vaticano.

Serate informative proposte anche in Ticino e un approccio sociologico

La conferenza stampa si avvicina, progressivamente, al tema più importante di tutti: la voce e il punto di vista di chi è stato abusato. È Jacques Nuoffer, presidente SAPEC, a parlarne per primo in modo esplicito, ma soprattutto ad auspicare una serie di prossime concrete iniziative per lasciare che il dolore – e la denuncia – possano trovare gli spazi e i contesti ottimali per essere espressi: «Gli ordini religiosi, che rappresento, ritengono urgente un azione nazionale. Mettere a disposizione organi di ascolto, possibilità di appello. Favorire la trasmissione di informazioni agli studiosi, per un’indagine non solo storica, ma in futuro auspicabilmente anche sociologica, analogamente a quanto fatto in Francia». Infine, «è necessario ristabilire un equilibrio tra le varie regioni linguistiche svizzere». E proprio per il Ticino, «si potrebbe immaginare che qualcuno responsabile dello studio vi tenga della serate informative, per mettersi all’ascolto delle persone coinvolte, come è successo in Svizzera romanda».

La responsabilità degli Ordini religiosi

Per gli Ordini religiosi in Svizzera, è l’abate Peter von Sury a prendere la parola: «Anche noi dobbiamo riconoscere la nostra responsabilità, non ci sono scuse. È chiaro che siamo parte del problema. Lancio a questo proposito a tutte le Congregazioni e gli Ordini presenti in Svizzera un appello alla collaborazione e ad aprire i propri archivi».

Vreni Peterer una vittima

È un appello accorato, a sua volta, franto dall’emozione ammessa subito, all’inizio del discorso, quello infine formulato da una vittima, Vreni Peterer, responsabile dell’associazione IG Miku. «Dietro un abuso, non vi è solo una vittima. Vi è il suo circolo di amici, la sua famiglia, tutti parimenti convolti. So quanto coraggio costi denunciare. Per questo è importante che si potenzi il prima possibile a livello nazionale persone disposte all’ascolto, assieme a prevenzione e sensibilizzazione: l’abuso sessuale nasce quasi sempre, nell’ambito ecclesiale, da un abuso spirituale. Le cifre che abbiamo sentito, centinaia di casi, devono apparirci anzitutto per quello che sono: si tratta di persone».

Vreni Peterer viene intervistata a Strada Regina su RSILa1 sabato 16 settembre con in studio il vescovo Alain de Raemy mentre domenica la Peterer sarà intervistata anche a Chiese in diretta su RSI RETE Uno alle 8.30 che dedicherà la puntata al tema, con alcuni approfondimenti.

Leggi anche: il «buco» negli archivi della diocesi di Lugano

Leggi anche: Il rapporto e le gravi lacune della Chiesa in Svizzera nella gestione dei casi di abuso

A questo link il comunicato stampa completo: https://www.catt.ch/newsi/abusi-sessuali-allinterno-della-chiesa-cattolica-in-svizzera-il-rapporto-delluniversita-di-zurigo/

Il vescovo Bonnmain durante la conferenza stampa a Zurigo. | © foto cath.ch
12 Settembre 2023 | 16:31
Tempo di lettura: ca. 7 min.
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