Internazionale

Siria, Save the Children: allarme per disastro umanitario imminente

Allarme di Save the Children per l’imminente disastro umanitario nel nord-est della Siria, dove molte persone sono già state costrette a sfollare nella notte per sfuggire ai combattimenti nell’offensiva lanciata dalla Turchia contro il popolo curdo. «Siamo fortemente preoccupati per la sicurezza di migliaia di bambini e loro famiglie sfollati questa notte. La nostra priorità è assicurare che si faccia ogni sforzo possibile per dare il supporto necessario ai bambini. I nostri team nel nord-est della Siria hanno sentito esplosioni durante tutta la notte, ma stanno continuando ad operare sul posto e stiamo ampliando il nostro intervento per far fronte ai nuovi bisogni,» ha dichiarato Jiwan, un operatore di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio.

«Anche se i combattimenti sono localizzati nelle zone di confine, abbiamo assistito allo sfollamento dai maggiori centri abitati verso le aree circostanti. Le persone sono spaventate e non possono prevedere quale sarà l’estensione delle operazioni militari in atto». «Le notizie di civili uccisi, tra cui 2 bambini, e molti altri feriti sono devastanti. Il nord-est della Siria accoglie molte persone che purtroppo conoscono bene gli orrori di questa guerra. Molti sono stati costretti a sfollare più di una volta. Con l’inverno dietro l’angolo, saranno costretti ad affrontare ulteriori sofferenze prima di poter trovare un riparo. Famiglie che sono preoccupate per le loro vite, che non pensano ad altro che a portare i loro figli al sicuro.»

Oltre ai civili siriani del nord-est, nella stessa zona ci sono migliaia di donne e bambini che vivono nei campi per sfollati. Tre di questi campi ospitano famiglie siriane e irachene, e più di 9.000 bambini stranieri di 40 nazionalità diverse con presunti legami con l’Isis, che dipendono esclusivamente dagli aiuti umanitari per sopravvivere. Al momento i 3 campi riescono a far fronte alla situazione, ma ogni danno al sistema degli aiuti può mette a rischio la vita delle 90.000 che sono ospitate.

Gli sviluppi delle ultime ore

Dopo l’annuncio del ritiro statunitense dalla Siria, la Turchia ha lanciato un’operazione militare in territorio siriano contro la regione curda nel nord est del Paese. La zona è controllata dalle Unità curde di protezione popolare (Ypg), una forza di difesa principale alleata degli Usa nella lotta contro l’Isis e braccio armato del Pyd, il partito siriano curdo.

E di tutto questo arrivano le prime terribili immagini, che mostrano i bombardamenti dell’aviazione turca su Ras al-Ein e Tell Abyad, città siriane che fanno parte dei territori del Rojava al confine con la Turchia. L’offensiva dei militari di Recep Tayyip Erdoğan, affiancata dall’esercito libero siriano (Els), ha già provocato morte e distruzione e innescato una nuova ondata di profughi. Circa 60mila persone hanno abbandonato le proprie case, mentre le milizie curdo-siriane fanno fatica a difendere il territorio e al contempo contenere i 12mila miliziani dell’Isis.

Proprio i Curdi, che hanno lottato contro l’avanzata dello Stato Islamico, denunciano quanto sta accadendo. La ritirata degli Stati Uniti è un chiaro segno di abbandono. «Il mondo ci ha abbandonato», è l’appello accorato di Anwar Muslem, l’ex sindaco di Kobane, la città curda che per prima ha sconfitto l’Isis in Siria. «Senza il sostegno dell’Europa e degli Stati Uniti c’è il rischio concreto che lo Stato Islamico si riorganizzi», ha continuato Muslem. «In questo momento, la priorità è difendere il confine nord, ma abbiamo in custodia 12mila miliziani Isis, di cui duemila sono stranieri, e circa 70mila loro familiari», aggiunge l’ex sindaco. Siamo molto preoccupati di non riuscire più a contenerli e questo rappresenterebbe un pericolo enorme per la Siria e per il mondo intero. Due giorni fa a Raqqa ci sono stati due attacchi suicidi dell’Isis – ha concluso – e ora temiamo che lo stesso possa avvenire a Deir el-Zor, che dispongano della facoltà di attaccare i luoghi di detenzione.

Un popolo sotto attacco

Obiettivo dichiarato della Turchia è quello di allontanare le forze curde dal suo confine e fermare le aspirazioni autonomiste del popolo curdo. Ma la storia del popolo curdo è lunga e complessa. Dopo la fine della prima guerra mondiale, il trattato di Sèvres del 1920 – firmato tra le potenze vincitrici e Istanbul – segnò la dissoluzione dell’Impero Ottomano e lo smembramento dei suoi territori. Ai curdi fu promessa una nazione, una promessa mai rispettata dalle grandi potenze occidentali.

La Turchia riuscì a ottenere una rinegoziazione con gli alleati occidentali, e nel 1923 attraverso il trattato di Losanna venne messo da parte il piano di uno Stato autonomo curdo e nacque la moderna Repubblica turca. Senza una terra, divisi in un territorio vasto che comprende cinque nazioni, il popolo curdo ha sofferto decadi di persecuzioni e violenze. Durante la guerra tra Iraq e Iran degli anni ’80 (1980-1988), il regime di Saddam sedò brutalmente le ribellioni curde a nord attraverso l’uso di armi chimiche. Decine di migliaia di curdi furono uccisi durante il conflitto, e centinaia di migliaia furono costretti a lasciare il Paese.

A seguito dell’invasione irachena del Kuwait nella cornice della prima guerra del Golfo (1990-91) e la conseguente risposta americana, 1.5 milioni di curdi fuggirono nella vicina Turchia. Ankara chiuse i suoi confini, costringendo i curdi in un limbo al confine tra i due Paesi, risolto solo dall’intervento dell’Onu che garantì protezione alla popolazione curda in fuga. Un intervento che portò l’Iraq a consentire al governo regionale del Kurdistan di governare la parte del nord del Paese.

In Turchia che vive il più alto numero di persone di etnia curda. Ankara è tra i maggiori oppositori alla creazione di uno stato curdo indipendente, tanto che la popolazione soffre da anni una brutale repressione etnica e culturale. In risposta alla chiusura di Ankara nel 1978, Abdullah Öcalan diede vita al movimento separatista curdo del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Durante la guerra turco-curda del 1984-1999 più di 40mila persone persero la vita. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, al potere dal 2002, ha sempre adottato una robusta opposizione contro il nazionalismo curdo. Il ra’is turco non ha mai fatto mistero del suo obiettivo finale: eliminare il gruppo fondato da Abdullah Öcalan, il leader curdo in carcere dal 1999.

L’irrisolta questione curda si è intensificata durante gli anni di Erdoğan creando tensioni ancora più profonde tra il governo e le aspirazioni indipendentiste del popolo curdo. Dopo il fallito colpo di Stato del 15 luglio del 2016, decine di giornali e organizzazioni di stampo filo curde sono state chiuse, più di 11mila insegnanti sono stati licenziati o sospesi.

Dallo scoppio della guerra siriana nel 2011, a preoccupare Ankara è la possibilità che il caos e il vuoto di potere creatosi nel nord-est della Siria possa avere conseguenze anche per la questione curda in territorio turco.

Quando la rivolta siriana, ultimo capito dell’onda di proteste della primavera araba, si è evoluta in una guerra civile, i principali partiti curdi hanno evitato pubblicamente di schierarsi. A metà del 2012, le forze governative si sono ritirate per concentrarsi sulla lotta contro i ribelli altrove e i gruppi curdi hanno preso il controllo del territorio. Nel gennaio 2014, i partiti curdi – incluso il Partito democratico dell’Unione dominante (PYD) – hanno dichiarato la creazione di «amministrazioni autonome» nei tre «cantoni» di Afrin, Kobane e Jazira. Nel marzo 2016 è stata annunciata l’istituzione di un «sistema federale» che includeva principalmente aree arabe e turkmene catturate dall’Isis.

La dichiarazione è stata respinta dal governo siriano, dall’opposizione siriana, dalla Turchia e dagli Stati Uniti.

Agenzie/openonline/red

11 Ottobre 2019 | 11:02
Tempo di lettura: ca. 5 min.
attacco (7), bambini (162), curdi (11), erdogan (11), siria (231), turchia (28)
Condividere questo articolo!