Papa e Vaticano

Sinodalità come libertà di parola nel discernimento dello spirito

da Roma Cristina Vonzun

L’Assemblea del Sinodo dei vescovi sta lavorando in queste ore al documento di sintesi che sarà pubblicato oggi, probabilmente in serata, dopo che mercoledì è stato approvato e diffuso un testo esortativo: la «Lettera al Popolo di Dio». Anticipare cosa possiamo attenderci dal documento finale e quale sarà il suo utilizzo, dato che si tratta di un testo «ponte» tra l’attuale assemblea sinodale e quella del prossimo anno – un testo che sarà verosimilmente «consegnato» al popolo di Dio per un approfondimento – al momento rientra nella pura speculazione. In giornata ne sapremo di più. Quello che di certo sappiamo dai dialoghi con i padri e le signore al Sinodo è che si è trattato di un’assemblea vissuta con grande libertà di parola da parte dei partecipanti, con l’ampia possibilità di esprimersi e mettere in comune ragioni, letture di fede, esperienze pastorali simili ma anche lontane, progetti e idee diverse sul rinnovamento in chiave sinodale delle strutture e dei temi ecclesiali. Un Sinodo dove vescovi e laici, tra i quali tante donne e uomini, hanno lavorato e discusso come mai prima, gomito a gomito, insieme hanno votato il documento che stiamo aspettando e prima ancora hanno espresso il loro consenso alla «Lettera al Popolo di Dio».

Tuttavia, la prima percezione che ci hanno trasmesso i partecipanti al Sinodo è quella di una libertà di parola su cui occorre riflettere perché il processo sinodale non è limitato agli oltre 350 tra delegati e delegate che dal 4 al 29 ottobre 2023 si sono riuniti con il Papa: è un cammino a cui è chiamata tutta la Chiesa. E allora ecco che si profila una sfida per tutti: lo sviluppo di una cultura dialogica nella Chiesa. Perché la sinodalità non è solo un metodo ma emerge da questo sinodo anche come una cultura, dunque un modo di vivere e di essere Chiesa. E questo non è scontato. Libertà di parola, accoglienza, ascolto, argomentazione, dissenso o consenso rispettoso, maturato nella preghiera e condiviso, vaglio di tutte le posizioni perché tutte devono essere valutate da fede, teologia e ragione alla luce anche di cammini ed esperienze pastorali diverse. Una sfida di una rinnovata cultura ecclesiale che parla di complessità e non di semplicistiche riduzioni a bianco e nero. Una sfida di grande responsabilità, che richiede indubbiamente una crescita non solo ai partecipanti a questa assise a Roma ma a tutto il popolo di Dio che di tale dialogo sinodale è pienamente parte: lo è stato nelle fasi precedenti l’assemblea e lo è ancora e lo sarà ulteriormente dopo quanto da questa assemblea emergerà. La libertà di parola voluta dal Papa lascia così che le tante voci espresse, siano oggetto del discernimento nello Spirito Santo. Gesù ha promesso che sarà lo Spirito a guidare lungo i secoli i suoi discepoli «alla verità tutta intera» (Gv 16,13). Lo Spirito si esprime così nei cuori di tanti: i vescovi, i preti, le religiose, i religiosi, ma anche nel senso di fede del popolo di Dio, dunque dei laici, donne e uomini chiamati al Sinodo a Roma e nei cammini sinodali locali. «Nella Chiesa è necessaria un’unità di dottrina e di prassi – scrive il Papa nell’Amoris laetitia (3) – ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa, cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo».

| © catt
28 Ottobre 2023 | 15:30
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