Ticino e Grigionitaliano

Santa Ildegarda e la «vertigine» umana. La nuova raccolta poetica di Gilberto Isella presentata a Lugano

di Laura Quadri

Una raccolta poetica coraggiosa, interamente dedicata e ispirata al «raggio visionario» di Ildegarda di Bingen, alle sue parole «evase dall’anima» che «rimbalzano da lontano », dal cuore di un Medioevo animato da slanci religiosi, nuove scoperte scientifiche, una fede e una società radicate nell’interiorità. Così Hilde, nuova raccolta di Gilberto Isella edita dalla Chiara Fonte – e che é stata presentata nella Sala San Rocco a Lugano nel contesto dell’esposizione ideata da Chiara e Mauro Valsangiacomo «La Casa» – richiama sin dal titolo a una famigliarità con la Santa e dottoressa della Chiesa, sviluppatasi con la frequentazione dei suoi testi.

Isella, in particolare, si rifà alle visioni narrate nel suo Libro delle opere divine, e, intravista e assaporata tra queste pagine, a una saggezza quasi dimenticata che tuttavia agli occhi del poeta «per incanto remoto risplende».

Tale saggezza è messa in risalto dai versi, rievocando la molteplicità degli interessi coltivati da Ildegarda, dalle osservazioni della natura alla musica, dalla preghiera alla capacità di calarsi fin nelle pieghe più intime dell’umanità, per comprendere sempre più a fondo il mistero del nostro stare al mondo, con gli occhi di una donna, oltre che mistica anche scienziata ante litteram, dotata soprattutto di profonda modernità.

Mentre un «fuoco rarefatto», «vertigine » nel cuore dell’uomo in cerca del divino, suscita così l’abile verseggiare del poeta, «un stelo finissimo» – simbolo delle ricerche e degli interessi naturalistici della Santa – restituisce al lettore il senso di una dimensione contemplativa, apre prospettive spirituali nuove, consegna un mandato celeste: ritrovare lo slancio per accedere a ciò che è lontano, a ciò che, rispettivamente alle nostre chiusure interiori, rappresenta un’inedita apertura: «Ma dall’alto / un solo stelo finissimo / ti consegna / l’Aperto». Un «soffio d’estasi senza moto», immagine dell’esperienza mistica, riduce le distanze tra questo Altrove e il vivere terreno, fino all’emergere della consapevolezza che «dalla sommità del firmamento / alle nubi più basse / da queste nubi al profilo terreno / uguale è la distanza».

Spetta all’individuo, «attratto dal basso dall’alto», razionalizzare le forze opposte, consapevole del valore della medietà, della necessità di perseverare nell’equilibrio e della forza nascosta di una sacralità incarnata. Proprio la mistica, esperienza tanto alta di unione con il divino, insegna infatti che «lo sguardo / sta in quel medio imperscrutabile / che vola / al nero oltre il bianco / al bianco oltre il nero». All’intrinseca bellezza dei colori «tenui», si unisce la necessità del silenzio, in cui si cela per l’uomo la possibilità di una temporalità sospesa: «Silente tu sollevi / la branda del tempo». L’esito di questo viaggio ildegardiano è la laus vitae, la lode, la capacità di assaporare e godere di una pienezza esistenziale inedita. Fino a cogliere di qualsiasi vissuto, anche quello più sofferto e irto di difficoltà, il suo nucleo più autentico: l’immagine di una festa, forse a volte strana, ma pur sempre tramata di allegria, l’allegria di esserci. Esattamente come Ildegarda, alla quale dobbiamo di aver anzitutto rintracciato tra le piante studiate – gli antichi «sorghi» – «la strana baldanza della vita».

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17 Marzo 2024 | 07:56
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