San Paolo: l’apostolo della risurrezione riletto da tre bibliste

Paolo di Tarso, l’apostolo delle genti, il convertito da persecutore ad annunciatore, colui che ha fatto della risurrezione la discriminante sulla verità del Vangelo e dell’annuncio cristiano, tanto da scrivere nella prima lettera ai Corinti: «Se Cristo non è risorto, vana è allora la nostra fede».

Ebbene, un commentario alle lettere di Paolo, piuttosto originale, è apparso nel cuore della pandemia, figlio di una storia che lo precede. Nel 2015 quattro donne bibliste italiane decisero di tradurre e commentare insieme i Vangeli. Due di loro, Rosalba Manes e Rosanna Virgili, hanno scelto di proseguire il lavoro su testi del Nuovo Testamento dedicandosi ora alle tredici Lettere di Paolo (senza la lettera agli ebrei) e coinvolgendo una nuova collega, Emanuela Buccioni. Nasce così il volume Le lettere di Paolo. A cura di Rosanna Virgili. Traduzione e commento di Emanuela Buccioni – Rosalba Manes – Rosanna Virgili, Àncora, Milano 2020. «Il progetto prevede un terzo volume dedicato agli Atti degli Apostoli, Apocalisse e Lettere cattoliche», ci spiega la professoressa Rosanna Virgili. Il volume delle tre bibliste, come ha scritto il cardinale Ravasi «risponde ai canoni esegetici codificati, alle metodologie storico-critiche e letterarie, che non sono «di genere»».

Professoressa Virgili, qual è l’originalità di una traduzione e commento delle lettere di Paolo ad opera di tre bibliste?

I canoni con cui questo volume e il precedente sono stati scritti, non rispondono alla teologia femminista. Di fatto è una traduzione dal greco fatta prima da bibliste e poi da donne, ma ciò non significa che trascuriamo la teologia della donna. Nella Chiesa cattolica c’è stata una reazione della teologia femminista contro Paolo, perché l’apostolo avrebbe dato, si dice, tanti supporti alla sottomissione della donna, al dominio del maschile sul femminile soprattutto nell’ambiente religioso. Lo scopo del nostro volume non è parlare di questo aspetto, però in sezioni – seppur brevi – riprendiamo e commentiamo alcune critiche della teologia femminista che poi riconduciamo ad una lettura esegetica del testo, senza pregiudizi e senza forzature.

Tempo di Pasqua, si parla dell’evento centrale del cristianesimo: la risurrezione. Come ridirla oggi a partire da quel Paolo che afferma nella prima Corinti «Se Cristo non è risorto, vana è allora la nostra fede»?

Il fatto in sé della risurrezione non è fotografabile, ma la sua forza è nella testimonianza di coloro che la sperimentarono. Paolo in questo è unico, non solo per l’elenco di testimoni che ci presenta nella prima lettera ai Corinti, al capitolo 15, ma perché risponde alla risurrezione con la sua vita. Paolo non ha conosciuto Gesù; ha incontrato il Cristo risorto in visione. Ma il modo in cui ne ha parlato è stato biografico: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Testimonianza e fatto della risurrezione sono la stessa cosa in Paolo. La testimonianza e la forza della risurrezione sono nel fatto che, «già e non ancora», Paolo è risorto con Cristo e noi stessi siamo risorti con Cristo.

Il dipinto «San Paolo» di El Greco (1610)

Qualcuno afferma che Paolo è stato il co-fondatore del cristiane simo. Lei cosa pensa?

Gesù Cristo è il fondatore del cristianesimo ma nessuno come Paolo ha annunciato il Vangelo, con tutto il rispetto per altri autori del Nuovo Testamento. La via paolina è totalmente cristologica, antropologica, ecclesiologica ed escatologica. Pensiamo solo al modo di considerarsi in rapporto alle comunità nascenti della Chiesa: «Figlioletti miei che ancora vi partorisco» (Gal 4,19) oppure «vi nutro di latte», (1 Cor 3,2) scrive. Quindi, in Paolo c’è un’idea di genesi ecclesiale fortissima a partire dalla sua persona, però restando umile, come umili sono tante altre figure bibliche, soprattutto profetiche.

Torniamo alla questione femminile. C’è continuità o rottura tra Gesù e Paolo, su questo tema?

In diversi scritti femministi ma non solo, si esalta l’apertura di Gesù nei confronti delle donne che Paolo avrebbe ridimensionato se non capovolto. Questo non ha un fondamento storico-critico, anche perché i Vangeli sono stati scritti dopo i testi paolini, con generi letterari anche diversi. Emerge in Paolo un’importanza della donna oltre le censure apparenti tipo «le donne tacciano» (1 Cor 14,34-35) quando poco prima al capitolo 11 le esorta con «profetizzino». Se le donne profetizzano non possono tacere: il tacere non è un ordine assoluto, ma è contingente a certi momenti in cui Paolo, tra l’altro, chiede di tacere a tutti, non solo alle donne. Bisogna porre attenzione alla prassi di Paolo e poi anche all’insieme delle sue lettere autoriali. In esse si constata la presenza di numerose figure femminili (ad es. Prisca, Maria, Giunia, Trifena, Trifosa, Perside, Giulia ricordate da Paolo nei saluti finali di Rm 16). Paolo definisce e tratta le donne menzionate nelle sue lettere come suoi «collaboratori», persone che «hanno combattuto da atlete» con lui per l’annuncio del vangelo.

Paolo cosa può suggerire alla Chiesa di oggi?

La Chiesa oggi si trova in una situazione in cui o si riduce ad una nicchia di conservatori oppure esce e parla una lingua nuova. Questa novità è quello che è stato il cristianesimo rispetto al giudaismo del tempo.

Cristina Vonzun

11 Aprile 2021 | 06:48
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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