Mons. Lazzeri a giovani e coppie: «Il corpo racconta Dio».

Mons. Lazzeri, Vescovo di Lugano sabato scorso si è trovato confrontato con più di un centinaio di persone tra giovani e famiglie, stavolta tutti insieme. Il tema, interessante per entrambe le categorie, soprattutto per i giovani in prospettiva futura, ha approfondito l’esperienza della comunità di Corinto che risale a circa 20 anni dopo la Pasqua storica. Un’esperienza originaria, un dono dello Spirito. Le lettere ai Corinzi e ai Tessalonicesi sono i primi documenti della testimonianza cristiana.

Ciò che esorta a considerare San Paolo non sono precetti e regolamenti calati dall’alto, ma una parola che provoca, fermenti che possono costituire riferimenti pratici per la vita.

Qualcuno ha annunciato loro il Vangelo (si ricordi il discorso all’Aeropago). A Corinto Paolo trova una coppia di sposi che si mantiene lavorando e fabbricando tende (per le campagne di guerra per i soldati) come lui (Aquila e Priscilla). Il Vangelo si diffonde attraverso le mediazioni più quotidiane. A Corinto vi abitano orientali, greci, romani, e avvengono grandi scambi. La vita è influenzata quindi da più culture ed usanze e ciò porta ad una certa dissolutezza (vivere alla Corinto anticamente significava vivere alla libertina). Le persone che si radunano attorno a lui sono persone di estrazione molto modesta. Da un certo punto di vista Paolo è duro in quanto fa tutta una lista dettagliata di peccati e peccatori che, a detta sua, non erediteranno il Regno dei Cieli. Ma ciò che più conta è quello che dice dopo: «tali eravate alcuni di voi. Ma siete stati lavati …» (1Cor6,11). La loro estrazione è chiara. Si tratta di persone che hanno vissuto in un certo modo, che raccontano la loro vita prima e dopo essere stati illuminati dall’evento di Cristo, che hanno compreso o stanno comprendendo che vivere non più alla luce della legge ma di Cristo non significa che tutto è lecito, ma che tutto è da vagliare secondo buon senso, sapienza e accezione che l’essere umano è sacro.

Paolo nei due capitoli analizzati della 1 lettera ai Corinzi, 6 e 7, propone due ordini di stimoli:

  1. I cristiani a Corinto hanno frainteso. Ci sono degli eccessi! Come ci comportiamo in questa situazione?
  2. Lui ha delle conoscenze a Corinto. Voci che gli arrivano: a Corinto la libertà cristiana è stata interpretata in un certo modo. Se la legge è superata, si è automaticamente autorizzati a pensare che tutto è lecito.

Ma Paolo, con un po’ di buona dialettica ed attraverso domande retoriche, fa comprendere che «ne quid nimis», antico adagio latino che significa: «mai nulla di troppo», ossia che ci vuole sempre equilibrio, in tutto. Paolo è abile nell’esprimersi con categorie adatte ad un pubblico variegato, anche di cultura ellenistica, e parla loro della necessità di un ordine cosmico delle energie. La destinazione del corpo per il Signore è la nuova visione in questa riflessione. L’evento di Cristo risorto nella carne pochi anni prima, porta a definire la dinamica relazionale come persona che si orienta all’altro, all’Altro. Il rendere edotto l’essere umano a sapere che i nostri corpi sono membra di Cristo, conduce ad un approccio positivo, ossia valorizzando ciò che c’è da valorizzare: «Prenderò forse le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituita? Non sia mai!» (1Cor 6,15).

«L’evento della Risurrezione», ribadisce mons. Lazzeri, «porta una prospettiva nuova davvero». «Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo?» (1Cor 6,19). E don Valerio cita S. Ireneo: «lo Spirito Santo è sceso su Cristo per abituarsi a stare con l’uomo». E ancora Paolo: «Siete stati comprati a caro prezzo» (1Cor 6,20).

Questa valorizzazione dell’essere umano nell’integralità delle sue dimensioni, corporea e spirituale, porta ad evitare errori secolari spiritualistici di emancipazione dal corpo che portavano a definirlo prigione o addirittura, alla greca, tomba (soma/sema).

Noi non abbiamo un corpo da ignorare (come un cacciavite o uno spazzolino da denti), da usare o da disprezzare, bensì noi siamo il nostro corpo.

In prospettiva poi più affettiva, matrimoniale e familiare, San Paolo parla sempre dal punto di vista del celibe, nel suo contesto storico-culturale, che va riletto anche per i tempi nostri. Alla luce dell’essere membra di Cristo, il matrimonio e la vita di coppia sono un dono, una propria vocazione, dice anche Paolo.

Il vescovo ha aiutato a comprendere che l’Apostolo non parla a dei cristiani che sono stati battezzati da piccoli e mostra che la chiamata rende liberi dove si è, nella condizione in cui già ci si trova, condizione che nel cambiamento di prospettiva, quella della dignità cristiana di essere e carne, può diventare luogo di cambiamento e occasione di conversione (1Cor, 7, 12).  Si è sempre nella condizione di poter vivere la chiamata del Signore. Qui e ora!

Il senso dell’escatologia per Paolo, soprattutto verso le fine dei due capitoli trattati sabato, evidenzia un aumento della credibilità che viene dall’aver fatto esperienza della misericordia del Signore. Proprio il fatto di aver vissuto l’esperienza del perdono porta a guardare l’altro senza giudicare, guardarlo come se stessi, come membra di Cristo.

Anche il «come se» più volte ripetuto, «quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero, quelli che piangono come se non piangessero, quelli comprano come se non possedessero …» (2Cor 7,29-30), induce a dare respiro al presente, a vivere di più il presente e viverlo con un nuovo orizzonte di eternità

Sono sorte molte domande a fine mattinata anche grazie alle domande-stimolo del vescovo: come uscire dalle situazioni di peccato entro cui non ci si sente più di vivere alla luce di una dignità riscoperta? Come possedere in altro modo, senza lasciarsi imprigionare dalle cose, mettendo in atto un esercizio di libertà, come cogliere questa destinazione per il Signore nel nostro vivere transitorio la nostra temporalità? Il nostro essere cristiani ha un impatto sul nostro corpo? Riusciamo a riconoscere la vocazione altrui come «dono di Dio»?

Molte le esperienze di coppie che hanno cercato di vivere la castità nella fase di fidanzamento e anche nel matrimonio, molti i cammini ripresi dopo aver còlto nella vita il senso della Risurrezione di Gesù nella carne, tanta bellezza e un po’ di fatica nelle testimonianze.

I giovani sono stati più silenti in sala stavolta, perché ancora molto in cammino su questi fronti che verranno affrontati con delicatezza un’altra volta; ma si interrogano molto!

San Paolo nel suo esprimersi non è certamente indolore, bensì provocatore.

In effetti la lettura bella e positiva, anche nuova, meno castrante, di una certa Parola di Dio talvolta ostica, valorizza la gradualità di ogni presa di coscienza individuale, nel suo unico cammino, la sua liberà nel rispetto della libertà dell’altro, di colui o colei con cui si cammina verso un medesimo orizzonte, comprendendo l’altro e le sue difficoltà, entrando nella sua logica.

L’ampio respiro di sabato ha messo una luce nuova sulla Sacra Scrittura per molti, pur avendo ancora molte domande, trasfigurando sensi di colpa in accoglienza di una natura umana da assumere, rasserenando l’umano che è in noi che è insaziabile per natura, in quanto Dio è inesauribile e noi siamo a sua immagine e somiglianza.

«Il corpo», ha affermato il vescovo, «in definitiva racconta Dio».

Così è: la via senz’altro è quella dell’equilibrio e della scoperta di quella Luce che illumina il corpo da un’angolatura di sacralità difficilmente udibile nel nostro tempo, che non è molto diverso dalla Corinto dell’epoca.

Don Rolando Leo

20 Gennaio 2020 | 11:33
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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