Commento

San Francesco: l’urgenza della conversione

La Liturgia, si sa, scandisce il tempo divino, innestandolo su quello umano, affinché le due dimensioni possano incontrarsi e interagire. Nella preghiera e nelle celebrazioni liturgiche, le due realtà – divina e umana – s’incontrano. È quanto esprime in maniera mirabile, l’Eucarestia che, ad esempio per san Francesco d’Assisi, è il culmine del Mistero dell’Incarnazione (Dio diventa uomo, piccolo, fragile e soprattutto povero) e insieme del Mistero della Passione di Nostro Signore. Nel segno modesto del pane e del vino, agli occhi della fede, il Cristo si rende visibile. È quanto afferma con forza e insistenza in diversi suoi scritti il Povero d’Assisi. Ne consegue che, secondo la sua prospettiva, la Settimana Santa, come il Natale, è il momento più importante e significativo dell’Anno liturgico. Tuttavia, per san Francesco, l’uno prende senso dall’altro Evento. Non c’è Pasqua senza Natale, come perde di valore il Natale se non è orientato verso la Pasqua!

Il significato specifico che, in chiave san francescana, possiamo dunque attribuire oggi ancora alla Settimana Santa e, più direttamente, alla Pasqua è la celebrazione della vita, dell’insegnamento e del dono di sé compiuto sino all’estremo sulla Croce da parte di Dio, nel suo Figlio diletto. Lo scopo di tutto ciò? È la salvezza, cioè la felicità e la libertà per ogni singolo essere esistente e per la creazione nella sua complessità. Le braccia allargate del Crocifisso, al culmine della sua sofferenza, manifestano per san Francesco l’indomabile voglia divina di accogliere in un abbraccio di riconciliazione qualunque realtà terrena e celeste. Perciò l’annuncio della pace è tanto fondamentale nell’esistenza e nella testimonianza dell’Assisiate. E per questo motivo, la pace è necessariamente abbinata al perdono e alla conversione. Non c’è cambiamento, né interiore, né tanto meno esteriore, senza purificazione e trasformazione profonda dei rapporti interpersonali. Non c’è vera umanità senza sincero rispetto dell’altro, accolto come «fratello» o «sorella», doni preziosi dell’unico Padre celeste e creati «a sua immagine e somiglianza».

Anche nel presente momento storico, credo che possiamo fare nostro l’impegno di san Francesco a favore della pace. Regalo divino chiamato a diventare umano, lievito fecondo della realtà sociale e politica, oltre che ecclesiale. Dopo essere stato tentato dalla carriera militare e avere subito sulla sua pelle i risvolti tragici delle lotte fratricide nella cittadella d’Assisi, il figlio del ricco mercante di stoffe Pietro di Bernardone capisce che la pace non è mai frutto della guerra. Dal suo punto di vista, la pace vera non si costruisce in nessun modo con la corsa agli armamenti. Al contrario, è il risultato faticosamente conquistato di un lungo processo di cambiamento, personale e collettivo. Emanazione divina per eccellenza, la pace presuppone la conversione del cuore e della mente. Comporta come conseguenza diretta il rispetto vicendevole e la giustizia sociale. Perciò san Francesco collega la pace al perdono, la giustizia alla povertà, la riconciliazione all’autentica libertà. Consapevole del perdono divino ricevuto senza meriti, l’umanità nel suo insieme può sperimentare come l’intero creato non sia più un nemico da soggiogare, magari a colpi di tecnica e tecnologia.

Alla fine di un duro itinerario di mutamento personale, san Francesco capisce che i valori di riferimento non sono né il potere (ingannatore come il veleno), né il successo (effimero quanto le nuvole), ma neppure l’emancipazione sociale (illusoria e passeggera), bensì biblicamente il per lasciare spazio a Dio conosciuto come unico e sommo bene.

Fra Martino Dotta

17 Aprile 2019 | 14:30
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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