Papa e Vaticano

Roma: Urbano VIII e la Chiesa del Seicento in una mostra a palazzo Barberini

di Jean-Claude Lechner*

Il 6 agosto 1623, dopo un conclave di 18 giorni, fu eletto al soglio pontificio Maffeo Barberini che prese il nome di Urbano VIII. A esattamente 400 anni da questo evento in una mostra a Roma, L’immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini,  viene ricordata la figura di questo papa che, insieme alla sua famiglia, è rimasto famoso soprattutto per il mecenatismo, essendo il pontificato barberianiano spesso ricordato nella storiografia come Seconda rinascita di Roma (dopo quella di Giulio II e Leone X).

Dal punto di vista politico, il pontificato di Urbano VIII viene giudicato spesso in modo negativo ed emblematico per il declino dell’influsso politico della Santa Sede a livello mondiale, declino che sarebbe stato controbilanciato da una politica artistica volta a trasmettere al mondo l’immagine di una Roma dei tempi aurei. Vi furono in effetti diversi stravolgimenti: nel 1618 ha luogo la cosiddetta Defenestrazione di Praga che segna l’inizio della guerra dei Trent’Anni; nel 1623, appena diventato papa, Urbano deve invece occuparsi della crisi in Valtellina, tiragliato dalle superpotenze di allora Spagna, Francia, l’Impero. Papa Barberini è inoltre riputato un papa filo-francese, accondiscendente alla politica del cristianissimo Luigi XIII e di Richelieu, che sostengono i protestanti contro gli Asburgo, il che provoca lo sdegno di molti cardinali filospagnuoli che lo accusano di essere responsabile del declino dei cattolici in Germania. Come d’uso in questi tempi, il papa nomina i stretti parenti ai posti chiave, il nipote Francesco segretario di Stato, l’altro nipote, Antonio, a camerlengo di S.R.C., un altro nipote, Taddeo, prefetto di Roma e così via. Dopo la morte del papa nel 1644 e con l’avvenimento di papa Innocenzo X, papa filospagnuolo, i cardinal-nipoti Francesco ed Antonio dovettero prendere la via dell’esilio verso la Francia.

Per questa mostra non c’era spazio più ideale che il Palazzo Barberini alle Quattro Fontane, sede storica di questa famiglia toscana. L’edificio fu costruito dal 1627 su committenza di Francesco Barberini secondo i disegni di Carlo Maderno, ideatore della facciata del nuovo San Pietro, architetto nato a Capolago nel 1556. Situazione strategica, perché il palazzo si trova a pochi passi dal palazzo del Quirinale, residenza papale. I più grandi nomi sulla scena artistica collaborarono, il Bernini per lo scalone quadrato e la porta del Salone, forse il Borromini per lo scalone ovale, Pietro da Cortona affrescò la volta del Salone con il grandioso Trionfo della Sapienza e così via.

Come nulla è stabile in questa esistenza terrena, anche la straordinaria collezione di dipinti, libri, statue, arazzi furono dispersi dopo la morte degli eredi dal Settecento in poi e il famoso teatro dove fu rappresentato nel 1632 il Sant’Alessio di Stefano Landi fu sacrificato al nuovo assetto stradale; edificio e giardini sparirono mano a mano dietro i palazzoni della fine Ottocento.

La mostra si concentra soprattutto sull’azione artistica e illustra come i Barberini tramite la produzione artistica – anche musicale e poetica, dato che Maffeo Barberini era anche poeta – si siano formati un immagine pubblica, e ricostituisce in piccola parte, ma con i capolavori assoluti,  il ruolo di collezionisti dei Barberini e l’uso dell’arte a scopi politici, il mecenatismo pubblico (si pensi alla costruzione del baldacchino sopra la tomba del principe degli Apostoli, opera inimitabile del giovane Bernini). La mostra raduna solo il meglio della produzione artistica del primo Seicento – in certe sale si è presi da vertigine – : possiamo ammirare La morte di Germanico di Poussin, uno dei pezzi forti della collezione e prestato dal museo di Minneapolis, Il sacrificio d’Isacco degli Uffizi commissionato al Caravaggio da Maffeo Barberini oltre al suo ritratto eseguito dallo stesso pittore, opere di Valentin de Boullogne, Simon Vouet, ecc. ed evidentemente le varie versioni berniniane del busto in marmo o in bronzo del pontefice. Una sezione è dedicata alla musica ed all’opera di Marcantonio Pasqualini e Marco Marazzoli, musicista prediletto del cardinal Antonio che fece fabbricare per quest’ultimo la famosa Arpa Barberiniana, e che si vede anche nel dipinto del Lanfranco Venere che suona l’arpa. Per la sezione sull’arte e la politica, la mostra presenta La presa di Gerusalemme di Poussin, che il cardinale Francesco diede come regalo diplomatico all’ambasciatore imperiale conte di Eggenberg, prestato dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, o il busto del cardinale de Richelieu, opera del Bernini prestato dal Louvre. Per inciso va detto che la pala d’altare dell’attuale cattedrale di San Gallo, l’Assunta del Romanelli,  fu regalo diplomatico del cardinal Francesco Barberini all’abate di San Gallo.

La biblioteca e la cultura del libro sono purtroppo trascurate, ma si possono sempre vedere un esemplare della Roma sotterranea di Antonio Bosio, scopritore e esploratore delle catacombe, edizione finanziata dai Barberini, o le opere del Galilei, che fu varie volte ricevuto dal papa.

La mostra vale sicuramente una visita e costituisce una isola del bello in mezzo al caos romano tra traffico e turismo di massa. Fino al 30 luglio.

*professore alla Facoltà di teologia di Lugano

10 Luglio 2023 | 15:05
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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