Reti sociali: non è tutto oro quel che luccica

L’ambiente delle reti sociali fa parte della vita non solo di coloro che hanno profili facebook, twitter, instagram e via dicendo ma – per riflesso – anche di chi i social non li frequenta. Basta infatti pensare ai messaggi di Greta Thunberg che da twitter arrivano a riempire le piazze, mobilitando l’opinione pubblica oltre il web.

Nelle reti sociali nascono iniziative di solidarietà, si partecipa a dibattiti emotivamente coinvolgenti, si trasmettono tantissimi sentimenti e reazioni; quello dei social è un mondo che interagisce soprattutto con la nostra sfera emotiva. Ed è proprio questo un primo aspetto: i contenuti condivisi – se pensiamo a Facebook- propongono reazioni sostanzialmente emotive, like o commenti che siano, mentre l’argomentare è sfida ardua.

Le relazioni nelle reti sociali sono certamente parte della nostra realtà, eppure non sono affatto facilmente riconducibili solo ai nostri comportamenti, come avviene per i rapporti in famiglia o altrove, perché sono sostanzialmente legate al lavoro di algoritmi che noi non vediamo ma che selezionano le notizie e i post, a partire da nostre preferenze espresse nella rete o previste per associazione, dagli stessi algoritmi.

Proprio il Papa, in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra domani, invita in un messaggio a ripensare il rapporto tra «community e comunità umana». «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25) scrive Francesco, proponendo una riflessione sul fondamento e l’importanza «del nostro essere-in-relazione» per riscoprire, «nella vastità delle sfide dell’attuale contesto comunicativo che investire sulle relazioni», anche nella rete e attraverso la rete significa non perdere di vista «il carattere interpersonale della nostra umanità».

Ed è questo il nocciolo del problema, non solo perché gli algoritmi gestiscono dietro le quinte il nostro modo di essere nei social e le nostre relazioni nella community, ma anche perché quel modo di essere e stare nella rete, prima o poi, finisce per influenzare i nostri comportamenti relazionali. Tra i diversi epifenomeni recensiti dagli esperti del web ne vorrei segnalare due: la crescita di reazioni aggressive che si riscontrano nei social e le community chiuse. Le reazioni aggressive, oltre a porre domande relative alla loro incidenza nella vita quotidiana dei soggetti, fuori dalla rete, rendono di fatto impossibile la presa di posizione argomentata e ragionevole in diverse tipologie di reti sociali. Quanto alle community web, i partecipanti, senza rendersene troppo conto, si ritrovano spesso a pensare tutti allo stesso modo, escludendo un vero confronto col diverso. Di fatto, nell’uno e nell’altro caso, quello che accade è condizionato in buona parte anche dagli algoritmi che gestiscono i social, costruiti o per acchiappare e rilanciare su base preselettiva i post scelti da noi, che sono comunque prevalentemente emotivi e, dall’altro, per selezionare l’appartenenza ai gruppi secondo una logica di preferenze indicizzate che seguono lo schema «del simile che sta col simile».

Nelle reti sociali non è tutto oro quel che luccica… Il suggerimento allora è di tenere aperta la porta delle community web verso una comunità ben più vasta ed interpersonale, che può essere di due tipi: la comunità delle relazioni in carne ed ossa, e quella data dall’accesso ad altri canali informativi oltre alle reti sociali, che consentano di verificare la veridicità dei fatti e la forza delle argomentazioni, mettendo inoltre al riparo dalla logica del piccolo gruppo chiuso in se stesso che pensa di sapere tutto, ma in realtà vede solo una fetta parziale di realtà.

Cristina Vonzun

2 Giugno 2019 | 05:55
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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