foto David Maria Turoldo
ROMANO GENTILE @messaggerodisantantonio.it
Ticino e Grigionitaliano

«Quando solo a nominarti»

Originario del Friuli, Padre David Maria Turoldo (1916-1992) è stato frate dei Servi di Maria e ha partecipato alla resistenza italiana con il gruppo de «L’uomo», prima di fondare con il confratello Camillo de Piaz il centro culturale «Corsia dei Servi».

L’ho conosciuto di persona nei primi anni Novanta, già segnato da quel male inesorabile che nel 1992 l’avrebbe sottratto al nostro affetto. Di lui diceva Carlo Bo: «Ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia». Estraneo a un cattolicesimo accomodante e consolatorio, Turoldo sapeva intrecciare perfettamente nei suoi versi tensione mistica, meditazione sulla sofferenza come attesa convulsa della Grazia, slancio profetico e impegno civile. Una bruciante metafisica alimentava il suo pensiero. Intuiva, con Pascal, che l’esistenza dell’essere umano si svolge tra due abissi, in apparenza inconciliabili. Sopra un’immaginaria lapide dedicata a se stesso scrive: «Sempre sul ciglio dei due abissi/ tu devi camminare e non sapere/ quale seduzione,/ se del Nulla e del Tutto,/ ti abbatterà». Ma guai se l’uomo rinunciasse alla speranza, «perché anche la poesia più disperata può farsi occasione di gioia». Tra le sue numerose opere poetiche mi limito a segnalare la silloge O sensi miei (1990) e le raccolte postume Ultime poesie (1999) e Nel lucido buio (2002).

La scrittura di Turoldo è verticale e intransigente, scevra da divagazioni aneddotiche, refrattaria agli eufemismi. Lo proverebbe il componimento Quando solo a nominarti da Il grande male (1987), tra i più rappresentativi del mondo poetico turoldiano. Dio è davvero pensabile e nominabile, può insomma divenire oggetto di riflessione? Molti scrittori e teologi (dallo Pseudo-Dionigi a Meister Eckhart) lo negano, dichiarando l’assoluta inconoscibilità di Dio, accessibile solo mediante la pura intuizione o l’estasi. Ma con una clausola fondamentale: è proprio nel Nulla in cui si cela che il divino manifesta paradossalmente il suo Tutto. Una tradizione religiosa consolidata, al vertice della quale troviamo il Cantico delle creature di San Francesco, sostiene invece che l’Onnipotente si svela attraverso la bellezza del creato e gli elementi naturali che lo esaltano.

Nella poesia Quando solo va sottolineato questo: mentre l’intelletto si sforza di «nominarti» e «pensarti» (qui il «tu» sublime sfugge alla presa) le coordinate sensibili dell’universo sembrano sparire. Tutto si ferma, precipitando nel silenzio e in una tenebra che ci rammenta la noche obscura di Giovanni della Croce. Nel suo ritrarsi, la natura mette allo scoperto il «silenzio eterno di questi spazi infiniti» dove solo il divino abita, un silenzio che sgomentava Pascal. Eppure Turoldo fa precedere al «silenzio delle origini» un «tenuissimo ansito del mare» o «la gemma di un suono». Come se Dio volesse pur sempre rilasciare ai sensi umani qualche traccia di sé.

Quando solo


Quando solo a nominarti
– a pensarti solo –
a davvero pensarti,
si arrestano gli astri
e di silenzio si fasciano
le montagne.

Non altro nella notte che il puro
tenuissimo ansito del mare
ti conviene, o la gemma
di un suono nella foresta;

o anche e più ancora
lo smisurato
silenzio delle origini.
– David Maria Turoldo –

Gilberto Isella

foto David Maria Turoldo ROMANO GENTILE @messaggerodisantantonio.it
20 Febbraio 2022 | 06:51
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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