Ticino e Grigionitaliano

Per essere ecumenici tutto l'anno

Oggi, 18 gennaio, inizia il periodo dell’anno 2021 in cui è particolarmente notevole, a livello internazionale, l’attenzione all’unità della Chiesa di Gesù Cristo. La data tradizionale per la celebrazione della «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani», nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

In questo 2021 il tema scelto, come è noto, è «Rimanete nel mio amore: produrrete molto frutto» e il testo biblico di riferimento è un brano particolarmente intenso del vangelo secondo Giovanni a livello teologico ed etico: i vv. 1-17 del cap. 15. I testi relativi a questa settimana sono preparati dalle monache svizzere di Grandchamp (cfr. su www.catt.ch l’articolo relativo, scritto nei giorni scorsi da Corinne Zaugg).
L’ABSI (Associazione Biblica della Svizzera Italiana) una delle istituzioni ecumeniche attive nel territorio svizzero a maggioranza italofona, propone il commento del brano evangelico citato quale contributo alla riflessione in questa grande circostanza ecumenica annuale. L’impegno di ABSI e anche, per esempio, della «Comunità di Lavoro delle Chiese Cristiane nel Ticino» è certamente quello di rendere sempre più «normale» per chi dice di essere cristiano pensare ed agire in modo ecumenico per tutto l’anno. Anche le linee di lettura di questo brano – anticipazione del quarto volume della nuova traduzione ecumenica dei vangeli canonici, intitolato «GIOVANNI», che sarà pubblicato da ABSI, nel prossimo mese di settembre – curate dal collega Prof. Gaetano Di Palma intende cooperare in questa direzione.

Giovanni 15,1-17 (traduzione e commento di Gaetano Di Palma*)

«Io sono la vite, quella vera, e il Padre mio è il vignaiolo**. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri a causa della parola che vi ho detto. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portar frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, costui porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Qualora qualcuno non rimanga in me, è gettato fuori, come il tralcio, e si è seccato, e (poi) li raccolgono e gettano nel fuoco e (li) bruciano. 7Qualora rimaniate in me e le mie parole rimangano in voi, chiedete qualsiasi cosa vogliate e avverrà. 8In questo è stato glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore! 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Questo vi ho detto, perché la mia gioia raggiante sia in voi e la vostra gioia raggiante sia piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come (io) ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici. 14Voi siete amici miei, se farete ciò che io vi comando. 15Non vi dico più servi, perché il servo non sa che cosa fa il suo padrone; ma vi ho detto amici, perché tutto ciò che ho udito da parte del Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho posto affinché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga, affinché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, lo dia a voi. 17Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».


vv. 1-11 Questi versetti iniziano con un’immagine ben nota nel contesto biblico: la vite. Da essa prende avvio lo sviluppo di tutta questa parte, che si conclude con una precisa motivazione espressa nel v. 11: la pienezza della gioia per i destinatari della «parola».
vv. 1-5a L’esordio identifica la «vite» (ámpelos) con Gesù. Il lettore è abituato alla formulazione composta dal pronome personale di prima persona, dal verbo «essere» e dal predicato nominale. È stata usata dall’evangelista varie volte nel capitolo 6, dove Gesù si definisce «pane di vita» e «pane vero», in 10,7.9 (»porta»), in 10,11.14 (»pastore»), in 11,25 (»risurrezione e vita»). Segue poi l’identificazione del vignaiolo con il Padre. I tralci, benché già messi in parallelo con i discepoli nel v. 4, sono esplicitamente identificati con loro nel v. 5a. Gesù è «vera» vite non solo perché piantata dal Padre, ma anche in quanto, insieme ai tralci, ossia i discepoli, costituisce un «corpo», quello comunitario, adombrato nell’Antico Testamento dalla vigna, che rappresentava Israele e della quale ci si lamenta spesso per la qualità dei suoi frutti (cfr. per esempio Is 5,1-7; Ger 12,10-11). Togliere un tralcio perché non porta «frutto» (karpòs) vuol dire prendere atto che esso è già «morto»; potarlo perché porti più frutto significa aiutarlo a inserirsi meglio nella vita eterna. Si noti che per «potare» si usa il verbo kathaírō, «purificare», e i discepoli sono dichiarati katharoí, «puri», perché Gesù li ha già resi tali con la lavanda dei piedi (cfr. 13,10-11).
vv. 5b-7 Nel v. 4 ricorre tre volte il verbo ménō (= rimanere), per indicare la fruttuosità del rapporto con la vite-Gesù. Tale verbo si trova ancora quattro volte in questi versetti, dove si prospetta il diverso esito che attende chi rimane e chi non rimane nella vite-Gesù. Inoltre, bisogna segnalare la reciprocità della relazione tra chi rimane e Gesù: «chi rimane in me e io in lui». Tale rapporto positivo – «porta molto frutto» – è anche «esclusivo»: «perché senza di me non potete far nulla». d’altronde, l’eventuale reciprocità di rapporto implica la permanenza armonica nella rivelazione e nei comandamenti, la quale garantisce pure l’esaudimento della preghiera in sintonia con la volontà di Gesù. Giovanni usa il vocabolo rêma, che significa «parola», ma anche «opera»: Dio comunica la sua rivelazione con «gesta e parole». Il v. 6 sembra severo, perché parla della triste fine che attende chi eventualmente non rimane in Gesù: espulsione, inaridimento, raccolta per essere bruciati nel fuoco. Queste immagini richiamano l’idea del giudizio e della condanna, non dissimile da Ez 15,4-6 e 19,12, Is 40,8 e Mt 3,10.
vv. 8-11 La glorificazione del Padre è assicurata dal frutto portato da coloro che sono diventati discepoli del Figlio; in altre parole, dalla partecipazione di costoro alla vita di Gesù. Nei vv. 9-10 vi è un movimento «circolare», una sorta di concatenamento: sorgente dell’amore – corrispondente alla vita divina – è il Padre, che lo riversa sul Figlio; questi lo espande sui discepoli che a loro volta
devono rimanere in esso. Osservare i comandamenti è la condicio sine qua non per rimanere nell’amore/vita di Gesù, perché egli stesso osserva i comandamenti del Padre e rimane nel suo amore. Quanto Gesù «ha detto» (il verbo laléō in Giovanni può esprimere anche l’azione del «rivelare») è finalizzato alla pienezza della gioia dei discepoli, perché essi si vedono coinvolti nella realtà divina.
vv. 12-17 Il comandamento è identificato con l’amore reciproco basato su quello di Gesù, il quale ha un amore tale da dare la vita per i propri amici. Essere suo discepolo, quindi far parte della catena dell’amore, equivale a essere suo «amico», per il quale Gesù dona se stesso. Certamente ogni discepolo rimane «servo» (doûlos), perché è al servizio del progetto divino, ma il suo status è
elevato a quello di phílos (= amico), per l’intimità della rivelazione ricevuta. L’amicizia con il Dio di Gesù Cristo è condizione essenziale per andare e portare frutto, cioè per essere discepoli impegnati a diffondere la logica di vita del Nazareno crocifisso e risorto, in piena sintonia con la volontà divina (v. 16).

* Nato a Portici (NA) nel 1964, presbitero cattolico, licenziato in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma e dottore in Teologia, è professore ordinario di Scienze Bibliche (Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli) e direttore del seminario di scienze bibliche della sezione «San Tommaso d’Aquino» della stessa Facoltà. Tra i libri più recenti: La grazia di Dio non è stata vana. Alcuni studi su Paolo di Tarso, CNX, Roma 2013; (con L. Parente) Alle sorgenti della misericordia. Il Vangelo di Luca, Passione Educativa, Benevento 2015; Cristo e la gioia nei vangeli sinottici, Sardini, Brescia 2016; (con S. Infantino), «Tu sei Pietro…». Primo degli apostoli e roccia della Chiesa Artetetra, Capua (CE) 2019; (con P. Giustiniani-A. Tubiello), In tempo di pandemia. Piccolo manuale per navigare a vista, Artetetra, Capua (CE) 2020.
** Il vignaiolo. In greco letteralmente c’è il lavoratore della terra.
*** Lo pota. Letteralmente: lo purifica. E il verbo si collega all’aggettivo puro del verso successivo.

18 Gennaio 2021 | 12:10
Tempo di lettura: ca. 5 min.
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