Ticino e Grigionitaliano

Nicodemo, la fede, il serpente. La riflessione di mons. de Raemy durante il quarto Quaresimale

È un Quaresimale raccolto, gustato nel cuore della comunità e vissuto in un clima di aperto confronto, quello vissuto anche dai partecipanti che lo hanno seguito online riuniti al Centro La Torre a Losone, ieri dalle 20. Il quarto Quaresimale di mons. Alain de Raemy in questa edizione 2024 e il terzultimo prima della Settimana Santa, proposto anche a tutti i fedeli della Diocesi via streaming direttamente da «Presenza Sud» a Mendrisio. Al centro del commento dell’amministratore apostolico, il Vangelo della Quarta domenica di Quaresima, Giovanni 3,14-21.

La bellezza della fede

«Il Vangelo ci racconta di Nicodemo, che viene da Gesù di notte, perché non vuole che sia visto dagli altri, non vuole essere identificato come qualcuno che si interessa di Cristo, essendo fariseo. Ma il Vangelo di Giovanni ci racconterà la bellezza di questa fede: Nicodemo, infatti, in seguito si opporrà al suo gruppo, avrà il coraggio dopo questo incontro con Gesù di opporsi; interverrà presso il Sinedrio per Gesù e si prenderà cura del corpo di Gesù Crocefisso».

Scegliere tra la luce e le tenebre

Il dialogo con Gesù – sottolinea mons. de Raemy – lascia stupito Nicodemo, anche perché «Gesù passa alla prima persona plurale, ha un linguaggio trinitario, in modo sorprendente». Così, «in questo dialogo con Nicodemo il discorso sembra in realtà rivolto a tutti, un discorso generale. Gesù parla a tutti coloro che devono scegliere tra la luce e le tenebre, tra credere e non credere.

Credere è affidarsi a un Altro da me. Significa non rimanere soli, non rimanere ancorati alla realtà che ciascuno vede in se stesso. Dio ci permette, come nessun altro può fare, di vederci nella nostra interezza. E questo è l’effetto del credere o non credere, il scegliere la luce o le tenebre».

Guardare in faccia il male

In particolare, mons. de Raemy si sofferma su un versetto del brano evangelico in questione: «In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

«Si parla di tale serpente già nell’Antico Testamento. Per noi è anche il simbolo delle farmacie, luoghi in cui andiamo per curarci, così come un tempo si curavano con il veleno dei serpenti, come insegna Esculapio, il padre della medicina. Nel Libro dei Numeri ci viene raccontato quanto segue:

Gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, per aggirare il territorio di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: «Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero». Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti». Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita» (Numeri 21, 4-9). 

E aggiunge il Libro della Sapienza (16, 10-11): «Invece contro i tuoi figli neppure i denti di serpenti velenosi prevalsero, perché intervenne la tua misericordia a guarirli. Perché ricordassero le tue parole, feriti dai morsi, erano subito guariti, per timore che, caduti in un profondo oblio, fossero esclusi dai tuoi benefici».

I serpenti che morsero gli Israeliti, dice il Libro della Sapienza, furono per loro rimedio all’oblio. Essi, infatti, dopo essere stati morsi dal serpente, furono invitati a riguardarlo nella statua fabbricata da Mosè: dovevano guardare, fissare colui che aveva loro fatto del male, guardarlo morto sul legno. Così esso diventa rimedio all’oblio, al fatto di aver dimenticato Dio. Quello stesso oblio che ritroviamo un po’ oggi: abbiamo bisogno di Dio solo nella catastrofe».

Ma al contempo «ci rendiamo conto che se rimaniamo chiusi, e siamo noi il nostro solo riferimento, ciò nel dolore non basta. Gesù parla a tutti ed evoca questo: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete chi Io sono (Giovanni 8, 28). Il paragone con il serpente innalzato è fondamentale. Lo ricorda Gesù stesso dopo l’Ultima Cena: «Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me» (Giovanni 12, 32).  Così come il serpente per gli Israeliti, Gesù deve «innalzarsi»: un Figlio unico per tutti, uno per tutti, non solo per il suo popolo…allora ci sarà davvero vita eterna per tutti».

Salvezza e non condanna

Tuttavia, «Dio è venuto per salvare, non per condannare. Condannare vuol dire lasciare la persona con i suoi difetti, il suo problema, il suo peccato, da sola. Salvare è invece smuoverci, scuoterci, e questo avviene proprio fissando il serpente elevato: con il simbolo proprio del male.

Significa allora considerare l’origine di quel male che commettiamo. Bisogna guardare in faccia quel male che è in noi.

Guardando al serpente innalzato, al contempo vediamo Gesù che è innalzato come serpente sulla croce: stiamo cioè guardando al contempo verso Dio, che è rappresentato da questo serpente; anzi, proprio per il male causato, lui muore. In quella morte causata dal male, Dio ci sta amando. Dio ci salva tutti prendendo su di se il nostro male. Se sappiamo che colui a cui confido il mio male, è colui che mi può salvare allora il rapporto diventa diverso. Gesù paragonandosi al serpente, alzato, reso visibile a tutti, non ci salva senza la nostra colpa: risponde al male con amore, con del bene; fa che questo male non rimanga nel buio, ma lo mette in luce. Su questa via anche Nicodemo, che aveva paura di dimostrare il suo rapporto con Gesù, è diventato un uomo coraggioso, non perché non aveva peccato ma perché ha visto il suo peccato sulla croce».

Un amore che non molla mai

«La nascita, il sorgere della presenza di Dio in noi non ci lascia tranquilli, ci commuove, ci scuote, perché il male c’è, il peccato c’è, ma c’è anche lui con noi che ha già vinto.

Gesù ci incontra, entra in noi non tanto sulla scia di un progetto incerto: quando entra nella nostra vita ha già vinto quello che ci impedisce di vivere pienamente.

L’unica distinzione che egli introduce non è quello tra credente e non credente, bensì tra chi crede solo in se stesso, e dunque non è un vero credente e il vero credente, colui che crede in colui che ci permette di vederci per intero.

La prospettiva di Dio è questo: un amore che non molla mai, che continua a portarmi avanti nell’amore, perché lui crede in me, anche quando io non credo più in niente.

Come Nicodemo

«Ringrazio Nicodemo, perché quando ci sembra che non capiamo e sembra che facciamo fatica nella vita cristiana, rinunciamo a dimostrare la nostra fede perché siamo in minoranza, in questa situazione vale la pena come Nicodemo andare avanti con Gesù, riconoscersi «poveri»: a quel punto la forza ci viene.

È quando sono debole che sono forte, come dice San Paolo.

Chiediamo dunque al Signore di riconoscere il valore della croce in cui qualcuno può vedere il simbolo della morte, ma che per noi, nati dall’alto, agli occhi dello spirito che è in noi, rivela un amore incredibile. E quindi capiamo che anche chi non crede ha bisogno di noi che ci crediamo, con quella dolcezza e apertura, che ci fa muovere, non ci lascia tranquilla, ma è sempre amore.

Il video dell’incontro:

Il prossimo Quaresimale sarà trasmesso, sempre alle ore 20, il 14 marzo dalla parrocchiale di Monte Carasso, in diretta sul canale Youtube della Diocesi.

Laura Quadri

Qui : gli incontri precedenti con il vescovo Alain

| © catt
8 Marzo 2024 | 09:30
Tempo di lettura: ca. 5 min.
commento (222), mendrisio (23), nicodemo (1), quaresima (130), quaresimale 2024 (6), rfilessione (1), streaming (12), vangelo (118)
Condividere questo articolo!