Per Dante, Maria è la donna nuova: ideale di bellezza e misericordia

Tutti noi conosciamo il celebre inizio della Commedia dantesca. È la Settimana Santa dell’anno 1300, quando Dante Alighieri – nel «mezzo del cammin» della vita – si ritrova smarrito alle soglie dell’inferno. L’anno è quello del grande giubileo, indetto da papa Bonifacio VIII, letto da molti come il segno di una nuova era che comincia. Nell’arco di una settimana di impervio cammino, il poeta giungerà dalle viscere della terra ai cieli del Paradiso, incontrando dannati, beati e santi.

Meno noti, invece, sono i motivi che spingono l’Alighieri al viaggio. Siamo nel secondo Canto. Tre figure di donne celebri – la Madonna, Santa Lucia e Beatrice, amata da Dante in vita – interagiscono tra loro, concordando di mandargli il poeta Virgilio come guida, per la buona riuscita del «periglioso» viaggio, predisposto dalla volontà divina. Da questo episodio trae il titolo l’ultimo libro di Luca Di Girolamo, professore alla Pontificia facoltà teologica «Marianum» di Roma, «Donna è gentil nel ciel…Maria in Dante» (edizione Ancora), agile saggio che indaga la presenza di Maria nell’universo filosofico, religioso e poetico della Commedia, nell’anno del 700 esimo dalla morte di Dante.

Professor Di Girolamo, cosa può dirci delle tre figure femminili che incontriamo all’inizio del cammino di Dante?

«Dante è figlio di un poetare d’amore, dove il motivo sentimentale si intreccia con lo spirito cavalleresco. Come spiego nel mio libro, questo gli permette di parlare di Beatrice conservando e facendo tesoro del pudore tipico dell’ambiente cavalleresco, usando termini che rimangono
sospesi in un’aura di mistero. Lucia, pur nella sua importanza, appare più sfumata, ma è importante perché evoca il motivo fondamentale della luce – fisica, ma anche la luce della fede – in tutto l’itinerario lungo i tre regni dell’oltretomba: dall’assenza o dalla presenza di sinistri e fiammeggianti bagliori (nell’Inferno), si passa all’armonia del Purgatorio, fino al trionfo del Paradiso. Tutte e due queste donne, assieme a Maria, sono strumenti attraverso i quali si esprimono la volontà, la benevolenza e, in ultima analisi, la grazia che Dio dona a Dante permettendogli il difficile pellegrinaggio oltremondano».

Lei scrive che la presenza di Maria nella Commedia è fondamentale. Può spiegarcene il motivo?

«Maria, per Dante, è modello non solo di spiritualità, ma anche di impegno civile e ecclesiale. Basti pensare che a Firenze, la festa dell’Annunciazione coincideva con il capodanno fiorentino, l’inizio del nuovo anno. Il santuario della SS. Annunziata era inoltre il «quartier generale» del partito politico in cui Dante si riconosceva, la fazione dei Guelfi bianchi. Maria è la «Donna Nuova»: emblema anche di una
Chiesa che sa riformarsi nella storia e punto di riferimento, per questo, anche di donne toscane che verranno dopo Dante, animate da uno spirito di riforma: penso a Santa Caterina da Siena († 1380) o a Santa Maddalena de’ Pazzi († 1607). Dante respira gli stessi aneliti di una religiosità «impegnata», considerando tutti gli aspetti di Maria a partire dalla sua divina maternità. Ci introduce così a un’ideale di bellezza e di misericordia. Inoltre, nei Vangeli, Maria è figura di pellegrina, che si muove non solo per porre in salvo Gesù da Erode (Mt 2,13ss), ma spinta da un profondo senso di servizio va da Elisabetta, coronando l’incontro con il suo cantico di lode (Lc 1,39-55). Come ha spiegato il Concilio (pensiamo al n. 58 della Lumen gentium), questo sta ad indicare che per lei la fede stessa è un pellegrinaggio. Dante, analogamente, percorre un cammino dalle tenebre alla luce ed è significativo che i tre regni si concludano con la stessa parola ›stelle’, elemento naturalistico che ha però sullo sfondo, Maria: Stella maris».

Può rievocare qualche passo particolarmente significativo della Commedia, in cui si parla di Maria?

«Sappiamo che il più noto testo mariano della Commedia è il grande inno di San Bernardo (Paradiso XXXIII, 1-45) e subito si è tentati di dire qualcosa. Per una volta lasciamolo stare. Proporrei, invece, un’incursione nel Purgatorio, che mette in luce due temi molto diversi fra loro. La prima (Purgatorio V, 88-108) è la triste vicenda di Buonconte di Montefeltro († 1289), guerriero ghibellino conosciuto personalmente da Dante nella battaglia di Campaldino. Ormai ferito a morte arriva presso il fiume Archiano e ivi muore non prima di aver pronunciato il nome di Maria. Questo fa sì che la sua anima venga sottratta al demonio che farà poi scempio del corpo. L’altro testo è di natura culturale e si colloca nel terzo canto del Purgatorio. La sostanza è questa: la mente umana non può penetrare totalmente la realtà divina, altrimenti – dice Dante, in modo elegante – non ci sarebbe stato bisogno che Maria avesse partorito Cristo. Il poeta esorta: accontentatevi! Nella sua epoca ci si sforzava di coniugare a tutti i costi la rivelazione con il sapere filosofico, per meglio spiegare il mistero di Dio e questo ha determinato una traduzione molto scientifica e settoriale della teologia. Tutto questo è di estrema attualità oggi: non sarebbe il caso di riprendere una «teologia in ginocchio» (uso l’espressione di von Balthasar che ha dedicato un prezioso scritto a Dante) contro un’enfatizzazione del razionalismo (camuffato per cultura)? A me fa molto riflettere l’icona miracolosa conservata a Firenze proprio nella basilica della SS. Annunziata, il più importante edificio mariano fiorentino: l’angelo che porta il lieto annuncio a Maria è in ginocchio davanti a lei; questo mi ricorda che Dio non si raggiunge, ma si riceve per grazia nella preghiera».

Dante è figlio del suo tempo, il Medioevo. Cosa dicono i testi di quel periodo su Maria?

«Un nome molto caro a Dante è quello di Riccardo di S. Vittore († 1173) ma è difficile seguire i fili nascosti ai quali Dante si collega. Maria nel Medioevo non ha un unico volto, ma aduna (per usare un termine proprio di Dante) molteplici sfaccettature: l’ideale di purezza – che la confina forse all’ambito ristretto del monachesimo – convive con una Maria in armatura come la guardano i crociati (rischiando una pericolosa strumentalizzazione). Con gli ordini mendicanti e le confraternite che si occupano maggiormente del popolo di Dio nella predicazione e nell’assistenza a poveri e morenti, si passa invece al ritratto di Maria più partecipe dell’esistenza umana. Tutto ciò riconoscendone la superiorità di Creatura in quanto Madre di Dio».

La Commedia non è certo un’opera dal valore solo letterario. Qual è la sua rilevanza per l’uomo di fede?

«Potremmo considerare la Commedia come una metafora dell’integrale esistenza umana e credente, utilizzando l’immagine della medaglia a due facce: da un lato mostra la pericolosità del peccato, un inferno tanto interiore quanto sul piano delle relazioni, già su questa terra. L’altro volto ci mostra invece la grandezza, l’apertura di un Dio sempre accogliente e pronto al perdono. Come «ponte» (prendo l’espressione da S. Caterina) abbiamo la Parola di Dio. Scritta e ascoltata nella Scrittura quale voce di Dio, ma anche come «cibo»: Cristo che ci nutre con i sacramenti, in particolare l’eucaristia. La Commedia è come un esteso commento di tutto questo. Dante attinge anche dal discorso delle beatitudini (Mt 5-7) per esprimere l’ambivalenza del nostro vivere: la «porta» stretta che conduce alla vita, contrapposta a quella larga, che conduce alla perdizione (Mt 7,13-14) e la casa costruita sulla roccia della Parola che resta stabile, mentre quella eretta sulla sabbia crolla (Mt 7,24-27). Ritroviamo queste immagini nella Commedia a ricordare uno dei suoi messaggi cruciali: Dio non obbliga, ma ci lascia scegliere anche la… nostra destinazione finale».

Laura Quadri

30 Giugno 2021 | 06:47
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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