Foto: di Vladimir Fedotov, Unsplash.
Ticino e Grigionitaliano

Nel tempo delle fragilità, Chiesa e società in dialogo

di Silvia Guggiari

«La cura della vita. Salute e salvezza dopo la pandemia» è il titolo del convegno che si terrà sabato 11 febbraio, dalle 9.15 alle 12.30, nella Sala Tami della Biblioteca Cantonale di Lugano (Convegno: la cura della vita, salute e salvezza dopo la pandemia (catt.ch). Una occasione preziosa promossa da Azione cattolica, Biblioteca diocesana di Lugano, Diocesi di Lugano, Caritas Ticino, Facoltà di teologia di Lugano, Medici cattolici, Medicina e persona, Unione femminile cattolica, che prende spunto anche dalla mostra allestita alla Biblioteca Cantonale «Scrigni di carta. Opere mediche dai fondi antichi delle Biblioteche cantonale e diocesana di Lugano», con l’obbiettivo di riflettere su quanto la pandemia ci ha trasformati e per capire come Chiesa e società possono affrontare il futuro. Dopo il saluto iniziale da parte del direttore del Dipartimento sanità e socialità, Raffaele De Rosa e dell’amministratore apostolico mons. Alain De Raemy, numerosi i relatori che prenderanno parte al convegno. Nella prima parte della mattinata interverranno don André-Marie Jerumanis, medico e teologo, Facoltà di teologia di Lugano; Giovanni Ventimiglia, professore di filosofia, Università di Lucerna; Graziano Martignoni, psichiatra. Nella seconda parte vi sarà la testimonianza di padre Michele Ravetta, già cappellano Ospedale La Carità di Locarno; Rita Monotti, medico, già primario dell’Ospedale La Carità di Locarno; Grazia Buono, infermiera BeeCare; Lara Allegri, infermiera specialista in cure palliative; Monica Mautone, paziente e di don Sergio Carettoni, coordinatore diocesano Reti Pastorali e di Settore. Moderatori della mattinata saranno Luigi Maffezzoli, giornalista; Giovanni Pedrazzini, medico; Luca Saltini, Collaboratore scientifico BCLu.

«Salute e salvezza», questa la tematica che si affronterà e che abbiamo chiesto a due dei relatori di presentarci.

Dott. Martignoni, cosa ci ha lasciato la pandemia dal punto di vista sociologico?

Di fronte alle sfide del nostro tempo, che la pandemia ha reso «feroce», vi sono tre parole che accompagnano il nostro cammino e che assumono sempre più la forza di indicatori di esistenza, parole come solidarietà, tenerezza e dolcezza. Parole che stanno, come scrive Anne Dufourmantelle, nel duplice movimento di dono e di accoglienza. Bisogno di solidarietà, bisogno di tenerezza nell’orizzonte incantato della meraviglia. Al posto di tutto ciò siamo progressivamente caduti in uno stato di «panne», abitato dalla noia del già-tutto-provato e del già-tutto-sentito, dalla caduta progressiva del desiderio e dall’anestesia emozionale, che ci obbliga per «stare a galla» a medicalizzare ogni emozione e comportamento della vita e a frequentare freneticamente i tanto illusori «rigeneratori» d’energia e di salute.

Cos’è oggi il «bisogno di salvezza»?

Nel tempo della guerra che uccide gli innocenti, come quella che insanguina ora le terre d’Europa, nel tempo del grande contagio, come quella che abbiamo vissuto nella pandemia, nel tempo del deserto di senso e del disincanto in cui vagabondano molti giovani, nel tempo delle nebbie, che oscurano il futuro, nel tempo in cui si cerca di anestetizzare la vita o di eccitarla per sentirsi vivi, in questo tempo il giardino della vita si ritrova soffocato dalle malerbe e la cura della vita inaridita. Al di qua e al di là dalla guarigione c’è un pressante bisogno di salvezza, di sguardi, che cercano uno spiraglio di trascendenza. Abitare la nostra spiritualità e farsi abitare da lei, so-stare nella tensione mistica verso l’Assoluto è il compito primo dei curatori d’anima. Al di là dei corpi da guarire con l’arte medica e della mente, da alleviare con la parola psicologica, è l’anima, «perla» dell’esistenza, infatti a soffrire maggiormente in questo tempo vuoto. Un tempo che spezza in tante particelle l’esistenza. È di lei che ci dobbiamo occupare come fossimo «giardinieri dell’esistenza», operai nel «giardino della cura».

Verso una Pastorale della sanità

Tra i «curatori di anime» e relatore del convegno vi è don Sergio Carettoni, responsabile delle Reti Pastorali della diocesi. Essendo anche il cappellano della clinica di Moncucco, don Sergio conosce bene il dramma della pandemia vissuto tra le corsie degli ospedali e ricorda ancora i temi radicali e le domande esistenziali emersi in quel periodo. Ma ora che la pandemia sembra essersi conclusa, come si può giudicare l’operato della Chiesa in quel periodo?
«Secondo me – dice don Sergio –, la Chiesa ha imparato ad ascoltare una domanda di paura in tantissime persone, credenti e non credenti; si è però trovata un po’ impacciata, non perché non sapeva cosa dire, ma forse perché non sapeva come dirlo di fronte alla drammaticità delle domande di salvezza e alla richiesta di relazioni umane. Ci si è così accorti, guardando al passato e pensando al futuro, che c’è bisogno di maggiore unità e coordinazione soprattutto in situazioni di emergenza che nessuno può prevedere».

Dalla situazione post-covid, ci spiega don Sergio, è nata l’idea di formare una Rete Pastorale dedicata al settore della sanità; una realtà già presente in altre diocesi, ad esempio, della Svizzera Interna e che vuole essere «un servizio di coordinamento di tutte le persone che lavorano in ambito sanitario come espressione della Chiesa – il cappellano, le suore, i volontari – che in diocesi sono circa una ottantina. All’interno di questa Rete – spiega don Carettoni – andranno affrontati alcuni temi, primo tra i quali quello del paziente e di come la Chiesa può essere rispettosa e di aiuto nella sua situazione al di là del suo credo religioso. C’è poi tutto il tema dei familiari e del loro accompagnamento nel tempo della malattia, nella speranza che tutto si risolva in una guarigione, se così non fosse, nasce il problema della gestione del lutto e di come la Pastorale sanitaria può accompagnare le persone in questa dimensione. L’ultimo aspetto è quello di come poter accompagnare gli operatori sanitari, dai medici, agli infermieri, al personale ausiliario nel loro operato quotidiano. La pastorale sanitaria può essere dunque uno strumento per dialogare con il mondo della sofferenza, del dolore e anche della guarigione».
Dopo gli anni duri del Covid, la Pastorale Sanitaria potrebbe dunque essere «una realtà che, mettendo in Rete le tantissime ricchezze presenti sul nostro territorio, andrebbe a lavorare anche sui contesti parrocchiali a sostegno dei malati che spesso vivono la sofferenza interiore e il dolore del corpo in solitudine».

Foto: di Vladimir Fedotov, Unsplash. | © vladimir-fedotov-YLmPK-XA1cM-unsplash
5 Febbraio 2023 | 12:30
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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