Navarro Valls a poco più di un anno dalla morte: il testamento di un testimone

Il 5 luglio 2017, Joaquín Navarro-Valls morì per un tumore a Roma. Dodici anni dopo la morte di Giovanni Paolo II, tornava alla Casa del Padre uno dei suoi più stretti collaboratori, per oltre 20 anni (1984 – 2005) direttore della Sala stampa della Santa Sede.

Tutti lo riconoscevano come la «voce» del Papa, ma Navarro-Valls era più di un collaboratore di Giovanni Paolo II. Il card. Stanislaw Dziwisz nella sua lettera dopo la morte del dr. Valls ha scritto: ” È stato un uomo di fiducia e di fede, con cui il Papa ha condiviso e discusso tanti temi importanti per la vita della Chiesa e preoccupazioni per il mondo. Non ho dubbi, che con san Giovanni Paolo II è stato unito non solo dalla collaborazione, ma anche dall’amicizia».

Lo spagnolo di nascita, medico e giornalista, apprezzato non solo per la sua competenza professionale, ma anche per le doti umane e la fede, viene ricordato in un volume a cura di Paolo Arullani, medico e professore universitario, dal titolo «Joachin Navarro Valls, ricordi, scritti e testimonianze» edizioni Ares. Il libro è composto da tre parti. Il primo capitolo introduttivo intitolato «Il mio amico Quico» (gli amici chiamavano Navarro «Quico» o «Kiko») contiene i ricordi del prof. Arullani. La seconda parte è una serie di scritti di Navarro-Valls su una varietà di argomenti, tra cui le sue riflessioni sul pontificato di Giovanni Paolo II e il senso della sofferenza e della malattia nella vita del Papa.  Ci sono anche i suoi contributi su Giovanni Paolo II, conseguenza del lungo periodo vissuto accanto al Papa – «in simbiosi» come sottolinea Arullani.

La testimonianza sulla benevolenza

Tra i testi pubblicati si trova una riflessione di Navarro-Valls sulla «benevolenza», contenuti nell’intervista rilasciata pochi mesi prima della morte, riguardante le attività della Biomedical University Foundation, di cui Navarro Valls fu dal 2007 presidente dell’Advisory Board. Navarro ha detto in essa che il gesto del dono è spiegato meglio dalla parola «benevolenza» e non dal termine «filantropia». Prende in prestito la definizione di «benevolenza» dal filosofo Leibniz che parla di «delectatio in alterius felicitate” – «godere la felicità di un altro». «Godere della felicità di un altro” è qualcosa di specifico dell’essere umano. Anche se la benevolenza, come altre virtù umane, può crescere, diminuire o scomparire del tutto. Alla totale scomparsa della benevolenza corrisponde una parola: «egoismo».  Solo la benevolenza – dice Navarro – mi consente di non essere indifferente verso l’altra persona, verso gli altri. È grazie alla benevolenza che un’altra persona diventa il mio prossimo. Ma questo solleva una domanda: «Quale beneficio traggo per me, quando io mi dono e dono agli altri?», alla quale Joaquín risponde: «Un unico beneficio, ma che vale molto: l’autorealizzazione di me stesso come persona«. Questo spiega anche l’apparente paradosso per cui ogni atto di benevolenza è un «dono», ma «un dono per chi dona». Navarro-Valls conclude la sua intervista con la frase: «La benevolenza può cambiare il mondo!» – questo potrebbe essere il suo ultimo messaggio per tutti noi.

(acistampa/red)

18 Luglio 2018 | 06:30
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