Ticino e Grigionitaliano

Mons. Nunzio Galantino. L'intervista: «Scrivendo, incontro le attese della gente»

di Cristina Vonzun

«Non dobbiamo proporci l’impossibile, né tormentarci per non essere capaci di sopportarlo sulle nostre spalle». Con questa citazione del teologo e pastore protestante tedesco Dietrich Bonhoeffer, imprigionato e fatto uccidere da Hitler, si apre il sito del vescovo Nunzio Galantino. Incontriamo il già Segretario generale della Conferenza episcopale italiana all’Elvetico a Lugano dove nei giorni scorsi è stato ospite in occasione della festa di San Giovanni Bosco. Una giornata tra gli studenti e le loro famiglie per un vescovo che prima dell’episcopato ha trascorso una parte rilevante del suo ministero a scuola, insegnando storia e filosofia in istituti statali italiani, oltre ad essere docente di filosofia e teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale. Il vescovo Galantino è oggi una voce di dialogo con il mondo laico grazie alle sue pubblicazioni e alla rubrica «Abitare le parole» che cura sul quotidiano italiano Il Sole 24 Ore.

Mons. Galantino, partiamo da Bonhoeffer. C’ è una attualità oggi nel suo pensiero e quale?

Il suo invito a non mondanizzare e strumentalizzare Dio, cioè la sua avversione nei confronti del cosiddetto «Dio tappabuchi», cioè all’uso della religione quando siamo nel bisogno mentre quando va tutto bene l’esperienza religiosa non ha più incidenza. Bonhoeffer dice che l’esperienza religiosa ha un valore in sé, anche quando va tutto bene. Questo vale anche oggi: è possibile che l’esperienza religiosa debba servire solo a chi non ce la fa? No, serve anche a chi ha una vita realizzata perché la fede porta alla vita un senso diverso agli impegni quotidiani.

C’è un modo di guardare alla realtà in Bonhoeffer che lo fa essere capace di vedere una luce nel buio che lo circonda?

La capacità di Bonhoeffer è proprio quella di non sbianchettare il dramma. Se si leggono non solo le Lettere dal carcere, ma ancora di più le Lettere alla fidanzata Maria von Wedemeyer, si vede che il dramma è conservato senza che per questo venga meno la dimensione emotiva, affettiva e la speranza. Bonhoeffer, fino all’ultimo, ha sempre sperato di poter uscire dal carcere infondendo questo sentimento negli altri, come nella poesia «Chi sono io» dove dice: «Mio Dio, solo tu sai io chi sono». Questo significa sentirsi e sapersi sempre alla presenza di Dio, accettando il giudizio degli altri ma senza assolutizzarlo mai.

Lei cura una rubrica su Il Sole 24 Ore nella quale scrive a lettori di tutte le provenienze. Che esperienza è?

Un’esperienza che non mi fa accettare quella sorta di precomprensione che tante volte ritrovo in uomini e donne di Chiesa nei confronti del mondo laico. Gli ambienti che ho vissuto, l’Università statale, l’insegnamento nella scuola pubblica mi hanno aiutato ad aprire gli orizzonti.

Secondo lei, che spiritualità cerca la gente oggi?

Il problema è che molto spesso confondiamo la fede con le espressioni religiose. Molte volte noi cattolici facciamo fatica a capire che la spiritualità non si esaurisce nell’esperienza concreta di una religione, tanto meno nelle formule che sono un aiuto per raggiungere la sostanza e non sono la sostanza. Quando questa confusione accade ci si allontana dalla vera esperienza religiosa. Riscontro nella gente una grande attesa anche se i tempi di questa attesa non sempre corrispondono al linguaggio e alle categorie ecclesiali.

C’è un’attesa del Vangelo nel mondo laico che lei incontra con la sua rubrica su Il Sole 24 Ore?

C’è un’attesa ma mi impongo di non sfruttarla mai. Io non devo occupare lo spazio dell’attesa, ma piuttosto tenerlo vivo indicando percorsi che possono riempire quell’attesa. Per quel che mi riguarda, nella mia rubrica sento il compito di cercare di salvare il senso delle parole dalla banalizzazione o dall’uso improprio che se ne fa.

Oggi le parole sono usate anche per polarizzare, per favorire tensioni, da certa politica ai social

Oggi nei social ma anche in televisione, soprattutto in Italia, è impossibile non assistere a talk show in cui non scendano in campo i rappresentanti di due curve. Non voglio dire che è venuto meno lo spazio del dialogo perché sarebbe troppo, dico che è venuto meno lo spazio dell’ascolto dell’altro. C’è questo imbruttimento perché certe parole oggi sono diventate delle pietre.

Questo modo di fare tocca anche il mondo ecclesiale. Pensiamo alle varie polarizzazioni, fortissime nei social

Nella Chiesa è più grave, non tanto nelle forme ma nelle motivazioni. Giustifichiamo infatti questi atteggiamenti con la Bibbia, col Vangelo, con la fedeltà alla tradizione, col Magistero per cui è peggio, a mio parere.

La sinodalità può aiutare a migliorare una cultura del dialogo?

La sinodalità significa prima di tutto capacità di ascolto sincero ma non per guadagnare l’altro alla mia posizione. Mi auguro veramente che dal Sinodo si sviluppi un po’ di ascolto in più. Per me la sinodalità è anche il punto di arrivo di una formazione un po’ più seria alla vita interiore che per primi dovremmo avere noi preti, perché soltanto chi prega veramente, si mette in ascolto.

Cos’è la preghiera?

La preghiera vera non è un andare a dire a Dio quello che deve fare per noi, ma è un guardare Lui, porsi al Suo ascolto.

Credo veramente che la sinodalità non sia una questione tecnica, di strategie, ma di disponibilità interiore.

Qual è il riscontro dei suoi lettori?

Il Sole 24 Ore mi passa, di tanto in tanto, le reazioni dei lettori. Mi sento una sorta di parroco di una comunità virtuale. C’è soprattutto interazione: i lettori integrano, aggiungono, sottolineano.

Mi scrive tanta gente che ha fiducia, che ha speranza, che lavora, che si impegna e che non per questo non ha bisogno di cura, non per questo non ha bisogno di essere sostenuta nella speranza.

In libreria

Nel volume «Oltre la superficie. Liberare la luce nascosta nelle parole» edito nel 2023 da Il Sole 24 Ore, mons. Galantino raccoglie le parole della sua rubrica settimanale invitando i lettori a scrutare dentro sé stessi e a condividere un profondo legame emotivo. La scrittura diventa così un viaggio spirituale, un esercizio di rispetto per il silenzio e un’opportunità di abbracciare e accogliere le differenze di cui ciascuno di noi è portatore, senza giudicare.

13 Febbraio 2024 | 07:27
Tempo di lettura: ca. 4 min.
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