Il commento ai Vangeli di domenica 23 gennaio

Calendario Romano

Anno C / Lc 1,1-4.4,14-21 / III Domenica del Tempo ordinario

Gesù ci insegna il valore dell’oggi

di Dante Balbo*

Al cuore delle letture della terza domenica del Tempo Ordinario c’è una parola, densa come una vertigine, inesorabile, senza scampo, se ascoltata veramente: oggi. Nella Bibbia però l’oggi, il presente non è l’attimo da cogliere perché non vi è certezza del domani, perché il passato ci ha tradito, ma lo spazio della decisione, il centro della scelta che ci proietterà verso la felicità con Dio oppure la fine di tutto. Per questo spiega don Willy Volonté, nella prima lettura tratta dal libro di Neemia, oggi è un giorno santo in cui si compie la promessa di Dio, la città è ricostruita dopo il dolore dell’esilio. Lo stesso accade nel Vangelo, in cui Gesù torna fra i suoi, nel paese dove ha vissuto 30 anni, per proclamare una parola di speranza. La sua fama si era diffusa nella regione, per le cose che diceva, ma soprattutto per i segni che compiva. Era uno che parlava con autorità, non faceva riferimento a questo o a quel rabbino, ma proclamava: «Io vi dico». A confermare il suo potere era il rapporto con i demoni, che gli obbedivano. Tornato dunque nel suo villaggio, come ogni adulto, ha il permesso di leggere e commentare la Scrittura e, ricevuto il rotolo del profeta Isaia, legge il passo in cui si parla del Messia, mandato a liberare i prigionieri, risanare i ciechi, salvare gli oppressi, proclamare un tempo di misericordia. Decisivo è ciò che dice dopo: «Oggi questa parola si è compiuta davanti a voi». Quello che la profezia ha fatto circolare da secoli si è condensato in un giorno, nell’oggi in cui chi poteva compierla l’ha proclamata e attribuita con autorità a sé stesso. L’oggi non è un altro dei mille presenti da afferrare al volo, come fosse l’ultimo, ma l’inizio di un viaggio, lo svelarsi di una possibilità inaudita, che di oggi in oggi ci porta alla pienezza dell’amore. Lo sa bene Zaccheo che accogliendo Gesù alla sua tavola, gli sente dire: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa».

*Dalla rubrica televisiva Il Respiro spirituale di Caritas Ticino in onda su TeleTicino e online su YouTube

Calendario Ambrosiano

Anno C / Mt 15, 32-38 / Domenica III dopo l’Epifania

La nostra povertà sia a servizio del prossimo

di don Giuseppe Grampa

In questa domenica la Chiesa accoglie con gratitudine il dono della presenza del suo Signore nei semplici segni del pane e del vino. Gesù si manifesta oggi come nutrimento per la fame della moltitudine. Mi colpisce il comportamento di Gesù. Avrebbe potuto fare tutto da solo e assicurare alla folla stanca e affamata il pane. E invece vuole associare i discepoli alla sua azione provvidente e misericordiosa. Non fa cadere dall’alto i suoi doni ma ci chiama a fare la nostra parte. Questo agire di Gesù valorizza la nostra collaborazione; si serve delle nostre pur esigue risorse per manifestare la sua premura per i bisogni della gente. Dio vuole avere bisogno degli uomini: di fronte a Lui non siamo né burattini, né robot, né automi: siamo esseri liberi, coscienti e capaci. I cinque pani e i due pesci che i discepoli mettono a disposizione sono il segno della nostra partecipazione all’agire di Gesù per la moltitudine. È poco eppure non è nulla; è disperatamente inadeguato eppure non è inutile. E se mettiamo questa nostra povertà, con fiducia, nelle mani di Dio, se facciamo quanto a noi possibile consapevoli che è poco ma è quanto abbiamo nelle mani, se agiamo così dando fondo alle nostre capacità, spendendoci fino all’ultima briciola, il Signore misteriosamente moltiplicherà la nostra povertà e ne farà pane abbondante per la moltitudine. Anzi, ci vorranno sette ceste per raccogliere gli avanzi. Perché nulla vada sprecato. Credo che questo sia l’Evangelo: la certezza che Dio può moltiplicare per il bene della moltitudine quel poco che abbiamo e che siamo. Nessuno, allora, dica mai: sono inutile, sono fallito. Se crediamo all’Evangelo la nostra vita sarà sempre il lieto miracolo di quel poco pane che sfama la moltitudine. Tra poco metteremo sull’altare il pane, quel pane che manca a gran parte dell’umanità. Ricevendo sul palmo della mano questo pane che è il corpo di Cristo, facciamo nostra la sua sollecitudine per rispondere alla fame della moltitudine.

Presentazione delle letture a cura di Renzo Petraglio

Neemia 8,1-10

Neemia era un laico che, nella seconda metà del quinto secolo, ricostruì le mura di Gerusalemme e lavorò per eliminare l’ingiustizia sociale che costringeva i poveri a diventare schiavi dei ricchi ebrei. Neemia è il protagonista del libro che porta il suo nome. Ma nello stesso libro, Ezra, sacerdote (v. 2) e teologo (v. 1) sono anche menzionati.
La pagina che sarà proclamata nelle celebrazioni eucaristiche presenta la lettura del «libro dell’istruzione di Mosè» (v. 1). L’occasione per questa lettura è data dal «popolo» (vv. 1. 3. 5. 5. 6. 7. 7. 9. 9. 9). Infatti, è il popolo che si riunisce e invita Esdra a leggere. Accanto a Esdra ci sono il laico Nehemia e due gruppi di tredici persone (vv. 4 e 7), persone – laiche e leviti – che si impegnano a far sì che tutti i presenti possano capire. Queste sono, nel nostro testo, le guide del popolo, le quali – insieme – si impegnano a portare il messaggio di Dio al popolo, a tutto il popolo, «agli uomini, anche alle donne, e a tutti coloro che sono in grado di capire» (v. 2).
Questo messaggio è contenuto nel «libro dell’istruzione di Mosè». E questo libro viene portato e letto, per una mattina intera, «nel luogo davanti alla porta dell’acqua» (v. 1). Questo è un dettaglio importante: la Parola di Dio non può essere contenuta nel Tempio, è più grande e più importante del Tempio e dei sacrifici che vi si offrono.
Il libro dell’Istruzione di Mosè viene letto dal sacerdote Esdra, dai Leviti e anche da molti laici (v. 7), che lo spiegano e ne danno il significato, ci dice il v. 8. E la prima reazione del popolo è il dolore, il «lutto» (v. 9), il dolore. Presentando questa reazione del popolo, il narratore ci mostra che la proclamazione della Parola di Dio sarebbe totalmente inutile senza l’atteggiamento aperto e disponibile dell’assemblea, un’assemblea che cerca di scoprire l’importanza della Parola di Dio nella propria vita.
Neemia, Esdra e i Leviti rispondono alla reazione del popolo: «Non vi affliggete, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (v. 10). La gioia, il fatto che Dio si rallegra del suo popolo, è ciò che muove il popolo ad agire, a condividere il proprio cibo con chi non ne ha, e a gioire.

Salmo 19
Il salmo 19 è composto da due parti. Nella prima (vv. 1-7), il poeta canta l’opera di Dio in tutta la creazione: ci mostra la grandezza divina. Ogni giorno rivela questa grandezza al giorno successivo, e allo stesso modo ogni notte alla notte che segue. E il messaggio trasmesso dalla creazione può essere compreso da ogni persona.
Per quanto riguarda la seconda parte del salmo, la liturgia ci offre quattro strofe. In questa parte, il poeta non parla più di «Dio», «El» in ebraico. Qui parla di «Yhwh», e questo nome proprio è ripetuto amorevolmente sette volte.
Nelle prime tre strofe (vv. 8-10), il poeta parla del messaggio personale di Dio agli esseri umani, ad ogni credente e a tutto il suo popolo. L’autore usa sei termini diversi per parlare di questo messaggio: istruzione, testimonianza, precetti, comandamento, parola e decisione. Ad ognuno di questi termini viene prima dato un qualificatore che lo caratterizza; il resto della frase ci dice cosa porta il messaggio di Dio al credente: dà forza per vivere, rende saggi, dà gioia al cuore e illumina gli occhi (vv. 8-10). La terza strofa sottolinea la parola di Dio e le sue decisioni come valide per tutti i tempi e tutte «giuste» (v. 10).
Nell’ultima strofa (v. 15), che è la strofa finale del salmo, il poeta affida la sua preghiera a Dio e si affida completamente a lui: sa che Dio lo protegge e lo rassicura: è la sua «roccia» e «liberatore».
Davanti a questo componimento poetico che celebra la parola di Dio, la liturgia ci ricorda il discorso di Gesù sul «pane della vita», sul «dono del suo corpo e del suo sangue». Alla fine di questo discorso, Gesù dice: «Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita» (Giovanni 6,63). Riprendendo questa frase del Vangelo, la liturgia ci offre questo ritornello per il nostro salmo che celebra la parola di Dio: Le tue parole, Signore, sono spirito e sono la vita.

1Corinzi 12,12-30
Dopo aver sottolineato i diversi doni che lo Spirito fa emergere in ogni membro della comunità, Paolo fa un paragone: il corpo. Il corpo è composto da diversi membri, membri che sono diversi l’uno dall’altro. E la differenza tra i diversi membri è essenziale. Ma tutte le membra «formano un solo corpo» (v. 12). E questa unità ha la sua radice nello Spirito. Infatti, «siamo stati tutti battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (v. 13). E lo Spirito non ha preferenze, non ha privilegi in termini di status sociale o di etnia. Infatti, «tutti noi, Giudei o Greci, schiavi o liberi, abbiamo bevuto alla fonte di questo unico Spirito» (v. 13).
Nel resto del testo (vv. 15-26), Paolo ritorna all’immagine del corpo, il corpo e le sue membra. Questa immagine permette all’apostolo di sottolineare la diversità: i membri sono diversi, le funzioni di ciascuno sono diverse. E questa diversità di membri diventa, nella nostra pagina, un’immagine per sottolineare la diversità dei doni in una comunità (vv. 15-20).
Dopo aver sottolineato la diversità delle membra del corpo, Paolo sottolinea la loro completa interdipendenza (vv. 21-26): «non c’è divisione nel corpo, ma le diverse membra hanno tutte la stessa preoccupazione le une per le altre» (v. 25). Quello che vediamo quando guardiamo il corpo umano ci aiuta a capire come funziona una comunità: le differenze tra i suoi diversi membri non devono mai diventare una scusa per escludere una persona dalla comunità. Infatti, ogni membro di essa ha la propria fisionomia, le proprie caratteristiche, i propri doni dati dallo Spirito, doni che servono alla comunità nel suo insieme.
Così, come scrive Paolo nella parte finale della sua riflessione, «voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per la sua parte» (v. 27). Questo è il messaggio alla prima comunità di Corinto. Ed è il messaggio che Paolo ci rivolge questa mattina: con le nostre differenze, formiamo il corpo di Cristo. E ognuno di noi «per la sua parte», ognuno con i suoi doni, le sue funzioni, i suoi impegni.
E Paolo ci ricorda questi doni e queste funzioni. Ma, a differenza di quanto ha detto nei vv. 8-10, qui Paolo menziona i doni in ordine di importanza: prima gli apostoli, poi i profeti e i maestri. Dopo questi doni, che si manifestano in particolare attraverso la parola, ci sono doni legati alle azioni, azioni straordinarie come il dono dei miracoli e delle guarigioni. Ma accanto a queste azioni straordinarie, Paolo menziona anche l’azione di «aiutare gli altri» (v. 28), un’azione più importante di quella di guidare una comunità. E infine, e solo alla fine, Paolo menziona il dono di «parlare vari tipi di lingue», un dono che i Corinzi apprezzavano molto.

Luca 1,1-4; 4,16-21
Dal Vangelo secondo Luca, la liturgia ci offre due pagine: i primi versetti del capitolo 1 e una sezione del capitolo 4. Nei primi versi del primo capitolo, Luca ci dice perché ha scritto il suo Vangelo e quale metodo ha usato.
«»¢ In principio ci sono «eventi compiuti in mezzo a noi» (v. 1), cioè eventi, azioni e parole di Gesù, eventi in cui Dio è intervenuto, attraverso Gesù, per «noi», uomini del passato e anche di oggi.
Questi eventi furono trasmessi per la prima volta da «coloro che fin dal principio divennero testimoni oculari e servitori della Parola» (v. 2). Il redattore, che ha concluso la redazione del suo Vangelo nell’ultimo ventennio del primo secolo, si riferisce qui ai primi testimoni, coloro che hanno vissuto con Gesù e che si sono messi al servizio della Parola e l’hanno registrata, prima oralmente, poi per iscritto.
E Luca ha voluto essere accuratamente informato «di tutto fin dall’inizio» per poter scrivere «un resoconto ordinato», cioè una narrazione in cui si possa vedere una successione, una coerenza tra i diversi fatti e le parole di Gesù.
Infine, l’obiettivo. Luca scrive per «Teofilo», una parola che significa «amato da Dio» e anche «amico di Dio». Il destinatario di Luca non è quindi un singolo individuo che porta questo nome proprio. Il destinatario del Vangelo secondo Luca è anche ogni persona che, dopo aver ricevuto il messaggio evangelico, sa di essere «amata da Dio» e desidera – con tutto il cuore – amare Dio e diventare «amico di Dio».
«»¢ Nei vv. 16-21 del cap. 4 viene presentatA la prima predicazione di Gesù. Al momento del battesimo «lo Spirito Santo discese su Gesù in forma corporea, come una colomba» (Lc 3,22). E ora, «pieno della potenza dello Spirito Santo» (4,14), Gesù ritorna in Galilea. Ancora in Galilea, e più precisamente a Nazareth – o, per dirla con un accento più aramaico, a Nazara – Gesù va alla sinagoga. La frase usata da Luca è molto precisa: Gesù «entrò nella sinagoga come era solito fare di sabato» (v. 16). Il narratore presenta così Gesù che, come ogni pio ebreo, frequenta regolarmente la sinagoga. E nella sinagoga, «gli diedero il libro del profeta Isaia, e quando egli srotolò il libro» (v. 17), Gesù trovò un passo e lo lesse.
Come nella pagina di Neemia, abbiamo una riunione in cui la lettura della Bibbia gioca un ruolo fondamentale. Nel Vangelo, la pagina che Gesù sta per leggere non è nel libro di Mosè, ma nel libro di Isaia.
In questa pagina dell’Antico Testamento, l’oratore si presenta come un profeta, un uomo mosso dallo Spirito del Signore. Il profeta usa anche l’immagine dell’unzione, il gesto con cui si versava l’olio sul capo del re o del sacerdote. Lo Spirito del Signore è così presentato come un olio penetrante e, nel libro di Isaia, come una forza che spinge il profeta a confortare coloro che ritornano a Gerusalemme dopo l’esilio.
Nel testo lucano questa pagina del profeta è leggermente modificata. Dove il testo dice «l’anno di benvenuto del Signore, il giorno della vendetta del nostro Dio», Luca evita la menzione della vendetta. In relazione a questo testo del profeta, Luca aggiunge anche un’altra frase, che trova in una pagina precedente dello stesso libro (Is 58,6): «rimandare in libertà coloro che sono irrimediabilmente feriti». In breve: è per i poveri, gli emarginati e i feriti che il profeta dell’Antico Testamento è inviato.
C’è un altro dettaglio nella lettura di questo testo di Isaia. Luca ci racconta di Gesù che «srotola» (v. 17) il libro, legge e poi «arrotola» (v. 20) il libro. Quindi: con Gesù che si alza, apre il libro, lo legge e poi si siede, il tempo della promessa è finito e comincia il tempo del compimento della promessa.
Da qui, la reazione nella sinagoga: la reazione è di sorpresa: «gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui» (v. 20). (v. 20). Chi ha ascoltato la lettura si aspetta una spiegazione, un commento. Ed è a questo punto che Gesù applica a se stesso ciò che ha appena letto: «Oggi si è compiuta questa scrittura nei vostri orecchi» (v. 21). La funzione del profeta anonimo, annunciata nel libro di Isaia, è la funzione che Gesù compie ora, segnalando che il Vangelo della liberazione dal male, dal dolore, dalla sofferenza inizia a compiersi da quel momento.

23 Gennaio 2022 | 06:05
Tempo di lettura: ca. 9 min.
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