Markus Krienke, professore di Filosofia moderna e di etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano e direttore della Cattedra Rosmini.
Internazionale

Il clima come questione universale di giustizia e solidarietà. Un commento alla Cop28 di Markus Krienke

di Markus Krienke*

È da criticare che lo Stato ospite della COP28 sia uno dei principali Paesi petroliferi al mondo? In nessun modo, perché quella del clima è una sfida che può essere affrontata solo con una collaborazione universale. Diverso è se il padrone di casa usa questo ruolo per accordi su petrolifero e gas, ma ciò era prassi anche in Egitto l’anno scorso dove del resto si è registrato un notevole aumento della presenza di grandi rappresentanti dell’industria del fossile (oltre 600, ossia messi insieme la più grossa delegazione). Fatto sta che questo summit, a metà strada tra Parigi (2015) e il traguardo 2030 per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra del 43% rispetto al 2019, deve essere affrontato nel migliore dei modi per continuare a rendere operativa la solidarietà a cui le Nazioni del mondo si vedono sempre più «condannati» dal Tribunale delle future generazioni.

L’edizione di quest’anno è particolarmente importante, non solo per il bilancio («Global Stocktake») circa il «livello d’attuazione» degli accordi passati e la denuncia della mancanza di «adeguati meccanismi di controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze» (Papa Francesco in Laudate Deum). Di particolare urgenza sarà l’attuazione del Loss and Damage Fund, già deciso alla COP27, che prevede aiuti finanziari per risarcire danni riparabili e irreparabili nei Paesi più colpiti dal cambiamento climatico, proprio perché sono quelli che meno vi hanno contribuito e non dispongono di risorse per affrontarlo. Infatti, sette dei dieci Paesi più esposti alle catastrofi climatiche sono africani, e tutti insieme contribuiscono con il 5,16% della popolazione globale allo 0,28% delle emissioni di CO2 (i dati sono del International Rescue Committee). Nel 2023 si contano in Africa 15.700 morti per eventi climatici estremi che hanno danneggiato almeno 34 milioni di persone.

Inoltre, riguardo ai ritardi circa gli sforzi per limitare il riscaldamento globale all’1,5% rispetto al livello preindustriale, un ulteriore tema centrale del summit sarà quello dell’energia nucleare, promosso soprattutto da Francia, Gran Bretagna, USA, Svezia, Corea del Sud e UAE.
In particolare, quattro saranno le policies con cui si cercherà di migliorare la collaborazione globale al fine di evitare il worst case di un innalzamento del riscaldamento stimato dall’ONU fino a 2,9°C: una triplicazione della percentuale di energie rinnovabili, aumento degli investimenti in energie rinnovabili in modo da raggiungere quota zero di emissioni al netto entro il 2050 (di fronte alle stime ONU di necessari investimenti di 4-6 bilioni dollari annui, nel 2023 si sono fermati a soli 358 miliardi), aiuti concreti per sostenere la biodiversità e un’agricoltura sostenibile, e infine un maggiore ascolto dei giovani.

L’aspetto più importante sarà che dalla COP28 parta un segnale forte e di solidarietà globale nel prendere sul serio gli obiettivi definiti a Parigi. Anziché pensare a un programma irrealistico e facilmente sospettabile di essere «di parte» o addirittura «ideologico», si tratta di costruire una politica efficace di giustizia e solidarietà internazionale, anche e proprio con Paesi restii e con l’industria oil&gas.
Così si confermerà più che mai che politica è «un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso» (Max Weber).

*docente di etica alla Facoltà di teologia di Lugano

Markus Krienke, professore di Filosofia moderna e di etica sociale alla Facoltà di Teologia di Lugano e direttore della Cattedra Rosmini. | © catt
2 Dicembre 2023 | 11:56
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