Don Giussani con  Von Balthasar e Angelo Scola (di spalle) ad Einsiedeln nel 1971
Ticino e Grigionitaliano

I ricordi personali di don Willy Volonté accanto al fondatore di Comunione e liberazione

di don Willy Volonté 

Le prime immagini che la mia memoria custodisce di don Giussani, l’amato don Giussani, si perdono tra le nebbie della Bassa milanese nella cascina, trasformata in casa sobria e accogliente, dei consacrati dei Memores, nel paese di Gudo. Il «Giuss», così amichevolmente lo chiamavamo, ci accolse in un brumoso pomeriggio d’ottobre, noi primi seminaristi di teologia di un non ancora ben delineato movimento ecclesiale, nella grande sala, ricavata da un fienile. Erano gli anni della contestazione giovanile, che seminava un certo disordine, seppure animata da focose e scomposte intenzioni di un radicale cambiamento. Don Giussani mi mandò in una terra per me sconosciuta, che corrispondeva al nome di Friburgo, in Svizzera. «Vai, perché là all’università insegna un nostro caro amico, don Corecco». Arrivai a metà ottobre già spruzzato di neve. Mi si aprì un mondo nuovo, culturalmente e spiritualmente, ma certamente si aprì il mondo di quelle amicizie che avrebbero segnato per sempre la mia vita. Terminata la licenza in teologia fui mandato al Collegio Papio come vicerettore, dove nell’incertezza del mio futuro aspettavo l’ordinazione sacerdotale che tardava a venire. Scrissi tra il disperato e l’irritato a don Giussani: «Ti capisco, mi rispose, ma i tempi sono quelli di Dio, attraverso la volontà dei superiori. Impara a obbedire. Ma la cosa migliore, adesso, è che ti venga a trovare più spesso». E così fece. Ecco, che cosa significa una compagnia, un’amicizia che non ti lascia solo nello svolgersi del tuo destino. Nel tempo mi divenne chiaro quello che in fondo mi fu sempre detto, fin dagli anni del Seminario di Milano. Perché, mi chiedevo allora, desidero appartenere a questo Movimento? La realtà della Chiesa così bella, ma in fondo affetti-vamente lontana, divenne nell’esperienza del Movimento «carnale», cioè raggiungeva sentimenti e cuore, intelligenza e volontà in quel gruppo di amici. Così la frequentazione del don Giuss s’impastò di fattori affettivi, imparai a declinare nel concreto il mio mondo interiore. Non fu facile imparare a voler bene ai miei amici fino a desiderare di condividere il poco che avevo e le mie scarse qualità. Respirando quel clima imparai la misura di che cosa significa esistenzialmente: attaccamento, relazione, rapporti. Ancora adesso prediligo la lettura dei libri di Giussani, dove lui si espone come uomo: il suo modo di prendersi cura dell’altro, i suoi gusti umani nello scegliere poeti, scrittori, teologi, per quale motivo il Gius ama questi e non altri con la medesima intensità. Comprenderlo significa entrare nel suo mondo, nel suo modo di pensare, nelle sue preferenze. E allora la parola umanità, fede, essere prete prendeva lucentezza e spessore. Don Giussani mi fece en-trare, non so per quale tipo di grazia, anche nel suo mondo di amicizie con le persone che apprezzava. In fondo, la dinamica del cristianesimo è sempre per «imitazione». Ecco solo qualche debole accenno del mio incontro, parziale nella descrizione, ma intenso nell’esperienza di vicinanza con don Giuss, che il card. Scola, il primo con cui feci il viaggio a Friburgo e mio compagno di studi, delineò, in un piccolo volume come «un pensiero sorgivo», come la fontana del villaggio, sempre pronta a dare tutto a tutti, sempre.

Un week-end intenso e ricco di proposte (vedi programma)

Don Giussani con Von Balthasar e Angelo Scola (di spalle) ad Einsiedeln nel 1971 | © Archivio Amici Corecco
17 Settembre 2022 | 06:34
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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