Il ticinese Dennis Pellegrini in mezzo ad alcuni bambini africani durante uno dei suoi viaggi di volontariato.
Ticino e Grigionitaliano

«Driiin, driiin! Pronto, qui è Dio che parla». Giovani in ascolto della chiamata

di Dennis Pellegrini*

Quando si parla di vocazione, specialmente in ambito prettamente cattolico, la nostra mente viaggia subito verso la dimensione della consacrazione. La vocazione è cosa riservata a preti e suore. Niente di più sbagliato. Infatti, se cerchiamo l’etimologia del termine «vocazione», troveremo che in latino esiste il verbo vocare, che significa «chiamare». La vocazione quindi non è altro che una chiamata. Ma non vorrai mica dire che solo le persone consacrate sono chiamate? Ovvio che no. Nell’ambito di fede, evidentemente, quando si parla di chiamata si fa riferimento implicito a Dio, Colui che effettivamente chiama. Ma il punto è che chiama tutti, indistintamente. Tutta la grande storia della promessa narrata nelle vicende bibliche ha come protagoniste persone che sono state chiamate da Dio, alcune delle quali hanno anche manifestato resistenza o insicurezza: Abramo, Geremia, Samuele, Giona, gli Apostoli. Tutte persone imperfette, fragili, peccatrici. Ma quando Dio chiama non fa distinzione, non chiama per meritocrazia. Chiama e basta.

Viviamo in una società iperconnessa, continuamente attaccata al telefono, che è diventato quasi una nostra protesi. Tanto che, camminando, si rischia di sbattere contro un palo o finire sotto a un’auto. Purtroppo però abbiamo scordato il numero di Dio. Non l’abbiamo salvato nella nostra rubrica. Quindi Lui chiama, ma sul nostro schermo della vita troppo spesso compare la dicitura «Sconosciuto». Quindi non rispondiamo. E, se abbiamo la fortuna di aver fatto un certo cammino di fede, abbiamo il Suo numero salvato nella rubrica, vediamo comparire il Suo nome sulla chiamata in arrivo… ma non rispondiamo comunque. Ci fa paura. Sappiamo che se rispondiamo a quella telefonata, la nostra vita cambierà. Niente sarà più come prima. E questo ci spaventa assai. Abbiamo però la fortuna che Lui non si stanca (un po’ come certi call center…) e continua a chiamare. Non dobbiamo mettere la segreteria! Ma dobbiamo rispondere. Certo, tutto cambierà da lì in poi. Ma in meglio. In fondo, come diceva un frate francescano, la nostra vita con Dio è difficile, ma senza è impossibile. Allora ricordiamoci del meraviglioso affresco del grande Caravaggio che possiamo trovare alla chiesetta S. Luigi dei Francesi a Roma, la Vocazione di San Matteo. In esso, Gesù si trova sulla destra, un po’ nell’ombra, perché continuamente ci chiederemo se è stato davvero Lui a chiamarci. Dubbio esistenziale necessario. Il dito di Gesù, che indica Matteo seduto al banco delle imposte, ricalca il dito di Dio nella creazione di Adamo, dipinto di Michelangelo presente alla Cappella Sistina. Perché, alla fine, la vocazione non è altro che una nuova creazione, una ri-creazione di noi stessi. Pietro, accanto a Gesù, cerca di ripetere il gesto del Maestro, ma con insicurezza e fragilità. Sapere che persone così, come tutta la Chiesa ancora oggi, possono essere accanto a Gesù, ci tranquillizza e ci fa capire che anche noi, allora, possiamo.

Domenica al Sacro Cuore

Su invito del Seminario diocesano, per la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, domenica 30 aprile si terrà la S. Messa alle 10 alla Basilica del Sacro Cuore a Lugano, animata dalle comunità Mar a Dentro, Shalom, dal Seminario Redemptoris Mater e dal Seminario S. Carlo.

*catechista e docente di religione

Leggi qui: il messaggio del Papa per la sessantesima giornata mondiale delle vocazioni

Il ticinese Dennis Pellegrini in mezzo ad alcuni bambini africani durante uno dei suoi viaggi di volontariato.
30 Aprile 2023 | 09:09
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