Ticino e Grigionitaliano

Domenica 3 dicembre. Commenti al Vangelo

Calendario romano: Marco 13,33-37

di Dante Balbo*

L’anno liturgico ricomincia, come nel ciclo delle stagioni, ma mentre spesso nelle culture antiche è la primavera a segnare l’inizio del tempo che si ripete, in uno slancio di nuova nascita, la liturgia si muove in un modo paradossale: proprio quando l’inverno induce al riposo, spesso ammanta di neve la terra, un fatto inaudito accade in un villaggio palestinese e Dio stesso si fa carne. L’avvento è questo tempo di attesa, ma come sempre, le cose sono semplici e complesse contemporaneamente. Nelle 4 domeniche di Avvento attendiamo il Natale, in cui nostro compito è forse solamente di togliere gli strati di polvere che si sono accumulati nel corso dei secoli, tanto che si festeggia di tutto tranne che la nascita del bambino di Betlemme. Ma sono le letture di questa prima domenica del nuovo anno liturgico a rimescolare le carte. Infatti il profeta Isaia parla di un ritorno, un tempo in cui il gemito di un popolo si eleva al Dio che lo ha liberato dal paese d’Egitto, gli ha dato una terra, è intervenuto anche dopo, molte volte, fino al ritorno dalla deportazione di Babilonia. Ora però lo smarrimento è grande e l’attesa è di una manifestazione straordinaria del Signore che viene invitato a squarciare i cieli, per volgere lo sguardo sul popolo che ama. Il vangelo riprende il tema dell’attesa, ma di qualcosa che ancora non si è visto, il ritorno glorioso del Messia che darà compimento alla storia. In altre parole l’Avvento e il suo accadere in un tempo in cui tutto sembra fermo, ci riporta in un viaggio interiore, dentro la terra della nostra anima, in cui qualcosa sta per germogliare, un bambino, un Dio che fa piovere dal cielo la rugiada del suo amore, un segno definitivo della storia che troverà il suo compimento. È veglia solenne accanto a Maria che sta per partorire, nostalgia per il ritorno di un Dio che abbiamo forse sfiorato solo nell’infanzia, speranza che finalmente torni il Signore a compiere quella vita eterna che ci ha promesso. *Il Respiro spirituale di Caritas Ticino su TeleTicino e su YouTube

Calendario ambrosiano: Marco 11,1-11

di don Giuseppe Grampa

L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è una vera e propria rappresentazione, diremmo una messa in scena del venire di Gesù, del suo entrare nella città, cioè nel luogo della nostra quotidiana esistenza. Gesù è «Colui che viene». E il Natale non è forse il suo venire, atteso e preparato in questo tempo di Avvento, appunto di venuta? Quante volte questo verbo ricorre a proposito di Gesù: «Venne nella sua casa» (Gv 1,11). E a Zaccheo dice: «Oggi devo venire nella tua casa» (Lc 19,5). E ancora: «Sono venuto a cercare e salvare ciò che era perduto»; «Non sono venuto per i sani ma per i malati»; «Sono venuto perché abbiano la vita». E l’ultima, conclusiva parola della Rivelazione: «Sì verrò presto. Vieni Signore Gesù« (Ap 22,20).

 Ma Gesù viene nella città. Vorrei sostare su questa immagine. Anzitutto viene in groppa ad un asino, non a un cavallo, cavalcatura guerresca. Viene perché spade e lance diventino aratri per la semina e falci per la mietitura. Viene per anticipare quella condanna del ricorso alla guerra come mezzo di soluzione dei conflitti che la coscienza cristiana sarà capace di formulate solo due millenni dopo, nel Concilio Vaticano II. Viene nella città perché la sua parola che è certo rivolta anzitutto alla coscienza e alla libertà di ogni uomo è altresì una parola per la città, per la convivenza civile, una parola per la polis, la città, quindi una parola «politica». Quando la Chiesa alza la sua voce non già per difendere suoi privilegi ma per dare voce ai soggetti più deboli della società, contro la disoccupazione e la precarietà del lavoro, per il rispetto della dignità di ogni donna e uomo senza discriminazioni, per l’accoglienza superando le chiusure egoistiche, per la legalità: ecco, quando parla così certamente fa politica, nel senso più nobile del termine; parla per la città e i suoi abitanti ed è semplicemente fedele al suo Signore. Quando parla così la Chiesa è quell’asino che porta il Signore. Non c’è fatica più bella di questa.

2 Dicembre 2023 | 06:48
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