Ticino e Grigionitaliano

Domenica 11 febbraio. Commenti al Vangelo

Calendario romano: Mc 1,40-45

«Voglio imitare Lui, perché è il mio bene»

di Dante Balbo*

La lebbra è la malattia che rappresenta la fragilità dell’uomo, impotente contro il disfacimento del suo corpo, anche se ai tempi di Gesù non era il morbo che conosciamo oggi, ma qualsiasi macchia o tumore della pelle. Per questo è stata assimilata al peccato, l’agente che può corrompere irreparabilmente la nostra anima. Questa domenica è un lebbroso ad accostarsi al Messia per implorare la guarigione. Gesù non solo viola la legge e lo tocca, ma lo guarisce istantaneamente, trasformandolo in un messaggero della potenza di Dio, con un effetto dirompente, tanto che il maestro non poteva più entrare in una città, senza essere travolto e, stando fuori, era assalito da una folla immensa. L’incontro con Gesù trasforma radicalmente e spesso diventa la ragione di vite sante che hanno saputo coinvolgere moltissime persone. È il caso di S. Paolo, che arriva a raccomandare ai Corinzi, di farsi suoi imitatori, perché lui lo è di Cristo. Ancora una volta siamo lontani da una filosofia o da una dottrina religiosa, morale o pratica per vivere meglio. Il cristianesimo è qualcosa di più, un cammino per diventare come Lui, trasformando la nostra intera vita nella manifestazione della gloria, cioè della presenza di Dio nel mondo. L’apostolo delle genti, nello stesso brano infatti parla di gesti quotidiani come mangiare, bere, vegliare o dormire, che tuttavia, nell’imitazione di Cristo diventano luminosi della partecipazione alla sua vita, orientata dall’amore fra Lui e il Padre, così intenso da espandersi ad ogni altro uomo o donna che lo incontri.Quando imitiamo qualcuno, ci illudiamo di aver scoperto noi stessi, ma spesso ci ritroviamo delusi e sconfitti.Quando proviamo a chiedere a Gesù di poter vivere come Lui, amando come Lui, il mondo si spalanca e tutto e soprattutto tutti ci appaiono come li vede il Salvatore: straordinari doni di Dio amabili e amati. Imitarlo non significa fare come Gesù, ma lasciar fare a Lui, che conosce il nostro vero bene.

*Dalla rubrica Il Respiro spirituale di Caritas Ticino su TeleTicino e online su YouTube


Calendario ambrosiano: Lc 18, 9-14

«La potenza dell’umiltà nella preghiera di Dio»

di don Giuseppe Grampa

La parabola di questa domenica, rivolta a quanti presumendo d’essere giusti disprezzano gli altri, mette in scena due uomini che nel Tempio compiono la loro preghiera, due uomini profondamente diversi. Già il termine «fariseo», «separato», sta a dire una pretesa di diversità, estraneità, superiorità rispetto alla massa che non segue la Legge di Mosè in tutti i suoi più piccoli precetti. Il fariseo è il prototipo dell’uomo religioso che elenca i peccati che non commette e le opere buone che compie. Digiuna addirittura due volte la settimana e non si accontenta di un solo digiuno come prescriveva la Legge. Paga la decima su grano, olio e vino facendo ciò che era prescritto per il produttore ma non per il consumatore.
E poi il pubblicano: per il lavoro che i pubblicani svolgevano – raccogliere le tasse a favore dei Romani, forza di occupazione del Paese – erano guardati con disprezzo. Lavoravano infatti per il nemico e ne approfittavano per commettere sopraffazioni, estorsioni, ingiustizie. La preghiera del pubblicano, compiuta stando a distanza e accompagnata da gesti di umiltà, esprime la consapevolezza della propria condizione di peccatore. Questa preghiera non è esibizione della propria giustizia come quella del fariseo, ma umile affidamento alla misericordia di Dio: abbi pietà di me che sono peccatore.
A questo punto interviene Gesù con una parola solenne, una formula che troviamo ripetutamente nel discorso della Montagna, tutte le volte che Gesù vuole far rimarcare la novità del suo messaggio: «Vi è stato detto…ma io vi dico».
La formula introduce il rovesciamento paradossale: il fariseo, considerato l’uomo giusto, sicuro delle sue buone opere è respinto nonostante la sua meticolosa religiosità.
Il pubblicano, invece, considerato peccatore degno solo di disprezzo, consapevole della propria indegnità viene riconosciuto giusto, perdonato, salvato.

10 Febbraio 2024 | 07:29
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