Ticino e Grigionitaliano

Dio ha scelto la via della socialità per comunicare con l’uomo

La «sinodalità» non è un obbiettivo da raggiungere ma una dimensione costitutiva dell’essere Chiesa, sia perché l’essere umano è un essere sociale, e qualunque attività umana ne porta il segno, sia perché, secondo la fede cristiana, Dio ha scelto la via dell’Incarnazione, e quindi quella della socialità e della sinodalità, per comunicare con l’uomo.

Ma questo comporta anche delle fatiche. Molti ricorderanno la famosa battuta di Sartre: «L’enfer, c’est les autres» (l’inferno sono gli altri), con cui l’intellettuale francese rilevava in modo paradossale l’importanza del rapporto con gli altri esseri umani.
La Chiesa è sempre sinodale, sia nelle celebrazioni liturgiche, sia nei consigli e gremi a tutti i livelli, nelle feste, nella sua testimonianza e ormai anche le colpe di alcuni suoi membri indegni vengono rinfacciate a tutti… Insomma, la sinodalità c’è, nel bene e nel male, e quando è vissuta male, se non diventa proprio un inferno, può essere un bel purgatorio…
La domanda circa la formazione alla sinodalità, decimo tema del questionario del Sinodo 2021-2023, non riguarda dunque il formarsi a qualcosa che non si vive, come quando ad esempio uno si forma in vista di una professione che ancora ovviamente non può esercitare, ma piuttosto l’esaminare il modo in cui si vive ciò che si sta già facendo.

La sinodalità in tre punti

Individuerei tre ambiti sui quali focalizzare l’attenzione. Il primo è la necessità di capire bene come deve essere la sinodalità.
Il Concilio Vaticano II ci ha lasciato un grande insegnamento proprio sul rapporto di comunione tra le varie componenti la compagine ecclesiale e la responsabilità di tutti nella diffusione del Regno di Dio, che si è riflesso nel nuovo Codice di diritto canonico: a questo riguardo purtroppo dobbiamo rilevare il permanere di una certa ignoranza, nel clero per non parlare dei consigli parrocchiali, che ingenera aspettative non giustificate e negligenze biasimevoli. Credo che una conoscenza seria delle strutture di comunione attualmente in vigore nella Chiesa permetterebbe di meglio convogliare le forze, aumentare il senso di soddisfazione per l’impegno sostenuto e rafforzare la testimonianza della comunità cristiana.
Un secondo ambito è quello della condotta personale: vi sono persone dal carattere dominante, ed altri che sono caratterialmente «gregari» e si lasciano volentieri trasportare dalla maggioranza. A tutti è chiesto di lavorare sulla propria personalità per risaltare i tratti positivi e correggere o almeno contenere i limiti. Chi ricopre ruoli di responsabilità dovrebbe imparare l’arte del governo in modo che anche questo aspetto divenga un riflesso della nuova umanità portata dal Salvatore.
Un terzo ambito, infine, è determinato dalla fede. La struttura gerarchica della Chiesa Cattolica è conseguenza ed espressione della sua fede in Cristo e nel suo messaggio. La distinzione dei ruoli non è un ostacolo alla sinodalità, ma sua parte integrante. Il modello ideale nei rapporti «gerarchici» all’interno della Chiesa è dato dall’ideale evangelico, che non ha equivalenti nei modelli civili di gestione del potere. Qui meriterebbe senz’altro riprendere l’insegnamento sulla sinodalità di mons. Eugenio Corecco, vescovo, canonista e fondatore della Facoltà di teologia di Lugano, che vedeva nel convergere sinodale del vescovo, del presbiterio e dei fedeli la manifestazione più alta del mistero della Chiesa.

René Roux,
rettore della Facoltà di teologia di Lugano

5 Febbraio 2022 | 16:24
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