La conferenza stampa svoltasi lo scorso 10 ottobre nella quale si annunciavano le dimissioni di mons. Lazzeri.
Ticino e Grigionitaliano

Continua il dibattito attorno alla vicenda della raccolta firme per cambiare le regole per la nomina del vescovo di Lugano

Torna il dibattito sulla vicenda della raccolta di firme per cambiare le regole per nomina del vescovo di Lugano. Ricordiamo che il Corriere del Ticino (Cdt) con un articolo di lunedì 12 giugno 2023 intitolato «Il Governo decide di non decidere» sulla vicenda della richiesta di modifica della legge che regola la nomina del vescovo di Lugano, per la quale era stata lanciata negli scorsi mesi anche una raccolta di firme, aveva dato notizia della «ferma convinzione» del Consiglio di Stato di dover «astenersi» non solo «dall’interferire nella nomina del vescovo, ma anche dall’intervenire sulle regole per la nomina». Come ricordano i lettori – sul tema si era espresso alla fine di aprile 2023, in occasione della inaugurazione della nuova sede dell’ambasciata elvetica presso la Santa Sede, il ministro degli Esteri Ignazio Cassis al quale gli iniziativisti avevano consegnato le firme raccolte prima di Pasqua per cambiare le regole e consentire anche ad un prete non di origine ticinese di poter essere preso in considerazione per la nomina a vescovo. «C’è una richiesta – aveva detto Cassis – fatta alla Confederazione da un certo numero di cittadini (il riferimento è alla raccolta di firme con l’obiettivo di modificare la convenzione siglata tra il Consiglio federale e la Santa Sede per la scelta del vescovo tra i sacerdoti cittadini ticinesi) e noi chiediamo al Governo ticinese la sua posizione, dato che in Svizzera i rapporti tra Chiesa e Stato competono ai Cantoni. E poi, in base alla posizione del Canton Ticino, la Confederazione farà le procedure necessarie con il Vaticano». A commento della decisione del Governo, «senza entrare del merito della questione politica» – Luigi Maffezzoli, uno degli iniziativisti, aveva osservato sul Cdt del 12 giugno -» che c’è una sorta di rimpallo delle responsabilità» che gli appare privo di senso. Il Governo, infatti, secondo Maffezzoli ha «rimandato una decisione che doveva essere dell’autorità civile alla diocesi di Lugano, ben sapendo che l’istanza superiore non è assolutamente la stessa diocesi, la quale non ha alcun potere in materia, ma la Santa Sede tramite la nunziatura apostolica di Berna». Di fatto – come osservavamo su catt.ch riassumendo la vicenda – «è probabile che questa posizione il Governo intenda sottolineare che la decisione di cambiare le regole dovrebbe dipendere da chi guida la diocesi di Lugano». E come in altre occasioni abbiamo scritto, di questa necessità di cambiare la legge se ne parla da tempo in Ticino quindi chi ha raccolto le firme, può darsi – come taluni dicono – sbagliando i tempi, ha peró portato alla luce una richiesta nota e dibattuta da anni.

Don Paximadi e mons. Grampa

In questi giorni sono uscite due testi sulla questione. Quello di don Giorgio Paximadi, parroco alla Madonna degli Angioli di Lugano sulla sua pagina facebook e quello del vescovo emerito Grampa, per altro già intervenuto in altre occasioni sul tema, che ha inviato un testo a catt.ch.

La presa di posizione di don Paximadi pubblicata sulla sua pagina di Facebook

«Triste vedere – scrive Paximadi – che sia il Governo di uno Stato laico come il Canton Ticino a dover rivendicare il diritto della Chiesa di organizzarsi liberamente e debba sottolineare che qualsiasi intervento normativo debba partire da ‘una volontà chiara espressa dalle istituzioni della Diocesi’. È proprio questo l’aspetto che l’articolista sembra ignorare: non si tratta della ‘decisione di non decidere’, ma semplicemente della constatazione che coloro che possono decidere, o proporre una decisione a chi può prenderla, ossia la Diocesi, il suo Vescovo, ed i suoi organismi istituzionali sono attualmente paralizzati o inesistenti a causa del necessario rispetto della norma canonica che dice ‘sede vacante nihil innovetur‘. Il Consiglio di Stato si è mosso non solo nella perfetta osservanza delle norme costituzionali, ma, e questo è paradossale, anche delle norme ecclesiastiche. Stupisce poi che i promotori di una simile intempestiva proposta affermino che la decisione fosse in capo all’ ‘autorità civile’ e alla S. Sede, perché la Diocesi non ha ‘alcun potere in materia’. Che in un’epoca in cui non si fa altro che parlare di sinodalità, si dica ad una Chiesa ‘fatti da parte perché tu devi solo tacere’, e ciò per bocca di persone che si possono definire ‘laici impegnati’, lascia basiti. Il clero, nella stragrande maggioranza, è contrario ad un’iniziativa attuata con così tanta fretta, e in molti altri ambienti ecclesiali la cosa è stata accolta con malumore ed è fortemente controversa. La raccolta di un paio di migliaia di firme in una Diocesi come la nostra non è stata poi un plebiscito, ma l’osservazione più grave porta a chiedersi se sia stile ecclesiale corretto proibire per principio il diritto di intervento a chi è direttamente interessato e riservare la discussione, con voglie giuseppinistiche, ad istanze superiori. E’ veramente questo un metodo elvetico? Il problema politico tuttavia verosimilmente esiste, ma non coinvolge Consiglieri di Stato o partiti politici; a mio avviso è squisitamente intraecclesiale. Come già era stato ipotizzato dal vescovo emerito, mons. Grampa sulle colonne del Corriere del Ticino qualche tempo fa, riguarda il desiderio di qualcuno di bloccare candidature sgradite», conclude don Paximadi. Si tratta evidentemente di una sua personale chiave di lettura.

Paximadi è parroco della Madonna degli Angioli a Lugano e professore alla facoltà di Teologia di Lugano

La precisazione di mons. Grampa (testo inviato il 19.6.2023 alla redazione di catt.ch)

«Non posso non condividere la corretta presa di posizione del Governo Cantonale a proposito della petizione per il cambiamento della convenzione tra la Santa Sede e il Governo svizzero circa uno dei requisiti per la nomina del vescovo di Lugano, che dev’essere ressortissant tessinois. Colgo l’occasione di questa precisazione per riproporre l’insegnamento del Concilio sulla Chiesa, come l’avevo riassunto nel libretto del novembre 2019 dal titolo ‘Il Concilio, una grande luce per non perdere la bussola’ (cfr. pag. 37-39). ‘E’ bene ricordare che il Concilio Ecumenico Vaticano II insegna che la Chiesa è «veramente presente (vere adest) in tutte le legittime comunità locali di fedeli, le quali, unite ai loro Pastori, sono anch’esse chiamate Chiesa nel Nuovo Testamento (…). In queste comunità sebbene spesso piccole, povere e disperse è presente (presens est) Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica» (Lumen Gentium 26). La lettura delle Lettere apostoliche a Tito e Timoteo ci deve aiutare in questo percorso di comprensione della Chiesa, a partire dalle sue realizzazioni locali e particolari, dal momento che la Chiesa di Dio, secondo il Concilio, è pienamente presente nella Chiesa locale diocesana, come confermano i testi neotestamentari e le numerose testimonianze dei Padri della Chiesa. Le Chiese locali non possono essere viste come una semplice Provincia della Chiesa universale, ma nella misura in cui rendono presente il mistero della salvezza nella sua interezza è «in esse e a partire da esse (in quibus et ex quibus) che esiste la Chiesa cattolica una e unica» (Lumen Gentium 23). Noi pensiamo le Chiese diocesane o particolari come filiali della Chiesa universale che ha sede a Roma, o come le articolazioni sul territorio del Governo centrale. I vescovi sarebbero come i prefetti che nell’organizzazione napoleonica dello Stato assicuravano la presenza dell’Autorità centrale sul territorio. Questa visione della Diocesi e del Vescovo è superata ed è stato grande merito del Concilio Vaticano II aver restituito al Vescovo e alla Diocesi – Chiesa locale o Chiesa particolare – la loro vera fisionomia. Non filiale periferica della Chiesa centrale, ma piena realizzazione della Chiesa in un determinato luogo è la Diocesi. Per noi che abitiamo le terre ticinesi la Chiesa si realizza nella ‘Chiesa di Dio che è a Lugano’. Questa espressione, cara all’antichità cristiana, esprime il realizzarsi della Chiesa di Dio nei diversi luoghi. Certo non nell’isolamento e nell’autosufficienza, ma nella comunione con tutte le altre Chiese di Dio che sono sparse sulla terra e soprattutto con la Chiesa di Dio che è a Roma, sede dell’apostolo Pietro’. Corretta dunque la presa di posizione del Governo cantonale quando sostiene che qualsiasi intervento normativo che riguarda la Diocesi deve partire da ‘una volontà chiara espressa dalle Istituzioni della Diocesi’. Non è vero che il Governo abbia deciso di non decidere, ma ha richiamato la strada corretta perché possa essere accolta la richiesta di un cambiamento ‘a proposito del quale non è corretto sostenere che la Diocesi non abbia alcun potere’. Se ci si fosse attenuti all’insegnamento del Concilio non si sarebbe persa la bussola».

Pier Giacomo Grampa
Vescovo emerito di Lugano

Per completare, anche il direttore del Corriere del Ticino è intervenuto su quest’ultima fase della vicenda (quella relativa alla posizione del Governo ticinese): qui il suo contributo dal titolo «Il vescovo non diventi un affare di Stato»

Leggi anche: da tempo in Ticino si parla di cambiare la legge per la nomina del vescovo di Lugano

red

La conferenza stampa svoltasi lo scorso 10 ottobre nella quale si annunciavano le dimissioni di mons. Lazzeri. | © catt
17 Giugno 2023 | 13:06
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