Commento

Commento al Vangelo della 21esima Domenica del Tempo Ordinario

Calendario romano: Anno C / Lc 13,22-30

Camminare, non fare statistica
«Maestro, sono pochi o molti quelli che si salvano?»: la domanda di questo tale punta sulla quantità. Gesù, nella sua risposta, ci fa subito capire che la domanda è sbagliata. Non insiste sulla curiosità, sulla statistica, bensì sulla qualità della salvezza. «Come ci si salva?» sarebbe la domanda corretta. «Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore» (Salmo 116). Tutti sono chiamati alla salvezza, nessuno escluso: il testo di Isaia (1a lettura) ci offre una chiara visione in questo senso. Dio stesso chiama tutti i popoli all’incontro con Lui, ed è Lui stesso che si impegna a radunare tutti i popoli, di ogni lingua e origine, luogo e tempo, sotto il manto della salvezza. È un impegno che Dio stesso si è preso e che egli compirà nel suo amore e nella sua fedeltà. La salvezza è opera di Dio: solo Lui può salvare l’uomo. La creatura non può darsi la salvezza, ma la può solo accogliere: perché solo Dio può liberarla dal peccato e dal senso di colpa, può sostenerla nella sua fragilità, può darle Luce, Forza e Amore per vivere al meglio la propria esistenza nella santità. Solo Dio può dare in dono alla creatura la Vita Eterna, in questo mondo («Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo», Gv 17,3) e in quello futuro («paradiso»). La salvezza è affidata alle nostre mani: come dice Sant’Agostino «Dio che ti ha creato senza che tu lo volessi, non ti salverà senza che tu lo voglia». La salvezza che Dio ci offre per mezzo di Gesù nello Spirito Santo può divenire efficace in noi, se gli permettiamo di agire in noi. Sennonché spesso opponiamo il nostro rifiuto, poniamo ostacoli, al punto tale da rimanerne esclusi. «Sforzatevi di entrare per la porta stretta»: secondo il Vangelo la salvezza è come una porta stretta, come un sentiero in salita. È come una «via crucis», perché il cammino del cristiano dietro il suo Signore non può che assomigliare al cammino percorso da Gesù. Alti, altissimi sono i valori cristiani che ci vengono proposti, e per raggiungerli occorre «ascendere», fare «ascesi»: per vivere nell’amore di Dio e dell’amore di Dio occorre «salire». I valori mondani e intramondani non ci fanno fare fatica: si va in discesa, in autostrada e i portoni sono spalancati. Ma queste vie non per forza ci conducono alla salvezza, anzi: Gesù ammonisce che la perdizione è dietro l’angolo. «Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi» (2a lettura): realisticamente l’autore della Lettera agli Ebrei ci ricorda come la nostra esistenza è un continuo itinerario di crescita («ascesi»), in cui Dio si impegna a farmi crescere, con la sua grazia e con la mia docilità, passo dopo passo, fino a quella perfezione che Lui ha pensato per me. Quindi: non statistiche, ma camminare.

don Massimo Gaia

Calendario ambrosiano: Anno C / Mt 18,1-10

Diventare uno strumento di verità
«In quel tempo i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli? Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico, se non vi convertirete e non diverrete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli». Gesù dà una risposta assolutamente inattesa dai discepoli e del tutto superiore e trascendente la logica puramente umana. Infatti la parola che Gesù rivolge ai discepoli e agli apostoli è una puntuale contestazione alla concezione del regno basata sul potere, sugli onori, sui primi posti. Gesù rifiuta categoricamente ogni ambizione di cui il bambino è del tutto privo. Ma la contestazione più radicale è la sua stessa vita, il suo esempio. Gesù fa sua la missione del Servo. Mite ed umile di cuore, Egli annuncia la salvezza ai poveri (Lc 4,18), sta in mezzo ai suoi discepoli «come colui che serve» (Lc 22,27), pur essendo loro «Signore e Maestro» (Gv 13,12-15). E giunge fino al colmo delle esigenze dell’amore che ispira questo servizio, dando la sua vita fino alla morte per la redenzione dei peccatori. Sia la parola che l’esempio di Gesù risolvono alla radice il problema delle priorità nel clima di vita cristiano. Gesù rifiuta categoricamente ogni ambizione di dominio e di potere sia per Sé che per la sua Chiesa. L’unica autorità e primato di essa e in seno ad essa è quella dell’ultimo posto, dell’umile servizio semplice e generoso. Come Gesù Cristo è servo perché Salvatore, così la Chiesa è serva perché sacramento di salvezza. Essa non può vivere avendo per fine la propria grandezza, ma esiste solo come servizio per la comunione di Dio con l’umanità. Un servizio di umiltà, di unità, di carità, di verità al mondo intero. Gesù ancora una volta indica il cammino anche a noi oggi per capire e rendersi disponibili, ovvero il servizio, l’umiltà, l’accoglimento dei piccoli e dei poveri, ripetendoci: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore»! Egli ha umiliato se stesso in una forma estrema: perciò poi è stato esaltato da Dio. S. Paolo usa qui un verbo ancora più espressivo, dice che Dio lo ha «superesaltato». Occorre però che l’umiliazione sia accettata per la salvezza degli altri, un’umiliazione che corrisponde ad un grande amore. È infatti la forza dell’amore che fa sì che l’umiliazione produca l’esaltazione. Tale amore proviene da Dio, è accettato dal Cuore di Cristo e viene manifestato nel suo sacrificio redentore sulla Croce.

Madre Sofia Cichetti, badessa del monastero benedettino di Claro

25 Agosto 2019 | 10:47
Tempo di lettura: ca. 3 min.
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