Ticino e Grigionitaliano

«Che comunità siamo? E quale desidereremmo essere?». Una riflessione

Proponiamo, giunta in redazione in queste ore, una riflessione di don Marcin Krzemien.

Che comunità, quale Chiesa siamo? È quella che desideriamo essere? A prima vista, le domande sembrano scontate, ma non lo sono. In realtà, sono domande fondamentali per discernere bene il nostro ruolo all’interno della comunità: ecclesiastici e laici. Questo lo si vede chiaramente durante il sacramento del battesimo (soprattutto degli adulti). Prima del battesimo stesso c’è l’introduzione di una persona nella comunità della Chiesa, poi segue il sacramento (»… entri nella Chiesa, per prender parte insieme con noi alla mensa della parola di Dio»). Perché la trasmissione della fede si fa con una certa gradualità all’interno della comunità dei fedeli, i quali, meditando insieme sull’importanza del mistero pasquale e rinnovando la propria conversione, si incoraggiano con l’esempio a corrispondere più generosamente alla grazia dello Spirito Santo.

Il capitolo 18 del Vangelo secondo Matteo è uno dei brani importanti della Bibbia che parla della comunità e di ciascuno di noi. Lì si trovano le diverse caratteristiche degli appartenenti alla comunità, ma ciò che colpisce maggiormente è che questa comunità di cui parla Gesù è una comunità di peccatori. È una comunità in cui i membri peccarono seriamente e gravemente uno contro l’altro.

Quali sono gli atteggiamenti all’interno della comunità della Chiesa considerati da Gesù come peccato? Innanzitutto i membri peccano con la superbia, litigando per chi è da considerarsi il più grande, il più importante, chi ha il ruolo più notevole. La comunità è piena di ambizioni eccessive che portano a occupare sempre e ad ogni costo il primo posto; inoltre in questa comunità i più piccoli sono trascurati e emarginati; è una comunità in cui uno è motivo di scandalo per l’altro, e ciò è davvero terribile, perché gli uni sono la causa/motivo del peccato degli altri; è una comunità che pecca contro se stessa ripetutamente (»…quante volte devo perdonare…», v.21). Gesù parla del peccato tra i membri della comunità, che ritorna spesso, si ripete.

Infine, è una comunità che ha un grave problema con il perdono: i membri della comunità non sanno chiedere scusa e non sanno perdonare; impongono agli altri altissimi requisiti che loro stessi non riescono ad adempiere.

È un’immagine della Chiesa drammatica, che può spaventare, è vero. Ma, in questo scenario drammatico, c’è una buona notizia? Sì! Nel capitolo 18 ci sono due buone notizie per la comunità. La prima buona notizia è la grazia di assoluzione dei peccati che si legge praticamente a metà di questo capitolo: «(…) Quello che legherete in terra sarà legato nel cielo, e quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo» (v.18). Gesù dà la grazia di assolvere i peccati alla comunità della Chiesa. Nella comunità ecclesiale nessuno è migliore degli altri, tutti abbiamo bisogno del perdono. Quindi, ai peccatori Gesù ha dato il potere di assolvere i peccati.

Leggendo con attenzione il capitolo 18 del vangelo di Matteo, soprattutto l’ultima parabola e il dialogo di Pietro con Gesù, ci si accorge che il perdono è inteso come un impegno di tutti noi. Tutti siamo chiamati a perdonare, ad essere misericordiosi. Giovanni Paolo II nell’esortazione «Riconciliatio et Paenitentia» commentando la Lettera di San Paolo ai Corinzi afferma che la comunità ha il potere di perdonare (il perdono della comunità); la comunità ha il compito di accogliere il peccatore indicandogli il modo di affrontare la situazione e soprattutto sa vedere il bene in lui, lasciando che il bene che è in lui porti frutti (nn. 7-8).

Quindi, la missione di unire, non è solo il compito esclusivo dei sacerdoti nell’ambito del sacramento della penitenza, ma è anche la missione della comunità, quando accoglie la persona, vede il bene in lei, la introduce alla comunità, indica la via di ritorno e permette che il bene porti frutti e venga condiviso con tutta la comunità. Tutti siamo peccatori, ma a tutti noi il Signore ha consegnato la missione di perdonare e di unire.

La seconda buona notizia per le comunità è che «dove ci sono due o tre radunati nel mio nome, lì sono Io» (v.20). La comunità di peccatori, proprio così come è, se si raduna nel nome di Gesù, diventa sacramento della presenza del Signore. In altre parole, la comunità dei peccatori rappresenta il Signore. Non ci può essere più bella notizia di questa. Spesso si corre il rischio di pensare che il Signore sia rappresentato solo dai santi, dalle persone buone e corrette. No, niente affatto! Se noi, così come siamo, ci incontriamo nel nome di Gesù lo facciamo presente in mezzo a noi, nella nostra comunità. La Chiesa è la comunità dei santi peccatori, di coloro che hanno fatto e fanno esperienza della misericordia di Dio, e sono anch’essi misericordiosi (vedi Lumen Gentium 8).

Ratzinger, mentre era vescovo di Monaco di Baviera in una delle sue omelie, lo ha espresso così: «Infatti, l’uomo dovrebbe avere il fuoco, l’uomo non è destinato a vivere una vita miserabile e noiosa: l’uomo è creato per essere come Dio, ma questo fuoco di salvezza è portato non da un titano che emargina Dio, ma da un figlio che si consegna al fuoco dell’amore e abbatte i muri dell’ostilità e così rende il fuoco: una forza di trasformazione, amore, e un mondo nuovo. Il cristianesimo è fuoco. Ciò significa che non è una cosa noiosa, una sorta di pietà. Il cristianesimo ci chiede di credere con passione, che si fonda su un amore appassionato per Gesù Cristo e con questa ispirazione rinnova il mondo (Pentecoste, 14 maggio 1978). Allora, che Comunità siamo? È quella che desideriamo essere?

14 Marzo 2024 | 14:51
Tempo di lettura: ca. 3 min.
chiesa (579), riflessione (20)
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