Ospedale pediatrico Betlemme.
Svizzera

Baby Hospital: invece dei festeggiamenti per i 70 anni, il dramma e l’emergenza del conflitto

di Laura Quadri

Un momento di festa, per ricordare ben settanta lunghi anni di assistenza medica di alta qualità fornita alla popolazione palestinese. Così avrebbe dovuto trascorrere il mese di ottobre al Caritas Baby Hospital di Betlemme, fondato nei primi anni Cinquanta e da 60 anni a questa parte sostenuto dall’associazione lucernese «Aiuto Bambini Betlemme». Medici, infermieri e pazienti si apprestavano infatti, poco prima dell’escalation di violenza tra Hamas e Israele, a ricordare questo importante traguardo raggiunto. Ora, la realtà è improvvisamente un’altra: «La mia prima preoccupazione, allo scoppio del conflitto, è stata una: garantire che la quotidianità nei reparti potesse essere gestita nel modo più normale possibile», ci racconta, direttamente da Betlemme, la dottoressa Hiyam Marzouqa Awad, da 18 anni attiva nell’ospedale quale primario e coordinatrice del team di medici e infermieri della struttura. «Mi occupo anche di tenere alto il morale degli operatori sanitari. Sforzarsi nonostante tutto di sorridere ed essere sereni è ora la nostra prima missione». La situazione è però innegabilmente difficile: «Mentre a Gerusalemme, di fatto, la circolazione della popolazione e lo spostamento della gente non è ancora un grosso problema, a Betlemme siamo circondati da posti di blocco, almeno quattro, che impediscono non solo i normali spostamenti, ma paralizzano anche l’accesso alle cure e al nostro ospedale». Un dato che si misura concretamente: «Il numero dei bambini ospedalizzati è subito diminuito, sin dalle prime ore. Pensiamo che il problema della viabilità sia una delle prime cause». A ciò si aggiunge la realtà di una popolazione già indebolita dalla pandemia: «Il tasso di povertà è alto. Prima della pandemia l’introito maggiore erano i turisti. A volte la scelta per un genitore è oggi quella di capire se conviene di più far curare il figlio o procurarsi da mangiare. Noi cerchiamo di ovviare al problema, garantendo un’alta accessibilità, anche economica, alle cure. Ciò non significa avere però un decadimento del servizio: i nostri medici sono altamente specializzati, a differenza di altri ospedali della zona, che soffrono la carenza di medici, a causa della decisione di molti di specializzarsi all’estero e poi rimanervi». Nel tempo l’ospedale, «ha anche costruito una buona rete di contatti con diversi Paesi esteri, come la Germania, l’Italia, la Svizzera e l’Austria. Quando siamo confrontati con un caso particolarmente complesso o che richiede competenze che non abbiamo sul posto, abbiamo la possibilità di chiedere ai medici di questi Paesi una consulenza a distanza altamente qualificata. Per noi è un grande aiuto», spiega la dott.ssa Marzouqa. L’aiuto alla popolazione in queste ore si è anche manifestato in alcuni gesti molto concreti: «Abbiamo attivato un numero verde, a disposizione 24 ore su 24 dei genitori per interpellarci sulla salute dei propri figli. Sempre nell’ottica di poter essere il più raggiungibili possibili». Tra le sfide future, nell’immediato, invece, «quella di capire quanto possa durare tutta questa violenza che causa immani perdite sia da una parte che dall’altra e da lì stimare per quanto tempo ancora avremo a disposizione medicamenti a sufficienza. Qualsiasi cosa accada nelle prossime settimane dobbiamo essere pronti. La scorsa domenica abbiamo avuto un’emergenza: i blocchi stradali hanno impedito a diversi dei nostri dottori di raggiungere l’ospedale. Ne abbiamo dovuti subito convocare altri da altre zone più accessibili. Questo significa adattarsi». La speranza? «Che la vita del Paese possa normalizzarsi e che soprattutto le persone possano tornare a essere liberi di spostarsi: in poche parole, di vivere serenamente e di curarsi quando occorre».

Per aiutare il Caritas Baby Hospital: aiuto-bambini-betlemme.ch.

Ospedale pediatrico Betlemme. | © Michael Meier
13 Ottobre 2023 | 16:46
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