Il cardinale maltese Mario Grech.
Ticino e Grigionitaliano

Il card. Grech sull'esperienza del Sinodo: «Insieme si può arrivare là dove da soli non è possibile giungere»

di Cristina Uguccioni
Seria, convinta, lieta, appassionata: così è stata la partecipazione dei fedeli ticinesi alla consultazione che si è tenuta lo scorso anno e ha costituito la prima fase del sinodo 2021-2023 della Chiesa universale dedicato al tema «Comunione, partecipazione, missione». Le risposte dei fedeli ticinesi sono confluite in una sintesi che è stata inviata alla Conferenza Episcopale Svizzera, la quale, a sua volta, ha prodotto un documento sulla base delle sintesi pervenute da tutte le diocesi elvetiche. Tale documento, questa estate, giungerà – insieme a quelli provenienti dalle Conferenze Episcopali di tutto il mondo – alla Segreteria Generale del Sinodo, guidata dal cardinale maltese Mario Grech, che dialoga con Catholica e catt.ch del sinodo e di sinodalità.

Recentemente lei ha ricordato che nella Chiesa cattolica, lungo il secondo millennio, «il tema della sinodalità è andato indebolendosi nella prassi ecclesiale e nella riflessione ecclesiologica». Oggi, la ripresa di questo tema quali prospettive apre per la Chiesa? Come lo stile sinodale cambierà la vita quotidiana delle comunità?

«La dimensione sinodale, ripresa e approfondita grazie al Concilio Vaticano II che ha messo in risalto il concetto di popolo di Dio, si esprime nel camminare insieme, nel dedicarci, in comunione, alla missione evangelizzatrice, nel metterci in ascolto gli uni degli altri, e, insieme, nel metterci in ascolto dello Spirito Santo. La sinodalità, che abilita tutti i membri del popolo di Dio a esprimersi e a comunicare ciò che in coscienza sono convinti che Dio desidera affermino, è dimensione costitutiva della Chiesa. E ne rappresenta il futuro. L’obiettivo del sinodo in corso è quello di imparare a mettere in pratica lo stile sinodale a tutti i livelli: in famiglia (che costituisce la prima esperienza di Chiesa), nei gruppi, nelle parrocchie, nelle diocesi. Già dopo il Concilio sono nate strutture sinodali: penso ad esempio ai consigli pastorali, a quelli presbiterali, alle stesse conferenze episcopali. Sono forme della sinodalità importanti ma talvolta siamo stati lenti nel farle funzionare bene. Il lavoro del sinodo ci aiuterà a migliorare e a imprimere uno stile davvero sinodale alla vita quotidiana della Chiesa».

E quali prospettive apre la ripresa del tema della sinodalità per la famiglia umana?

«La sinodalità insegna ad ascoltare bene. E insegna ad ascoltare tutti: non solo i fedeli, ma gli uomini e le donne del nostro tempo. Questa migliore capacità di ascolto consentirà alla Chiesa non solo di vivere con accresciuta profondità la propria identità ma di comprendere meglio e quindi di meglio affiancare, sostenere, aiutare ogni uomo e ogni donna. Una Chiesa più capace di ascoltare sarà dunque una Chiesa maggiormente in grado di prendersi cura di ogni creatura per la quale il Signore ha passione e compassione. Nutro inoltre la speranza che la ripresa del tema della sinodalità da parte della Chiesa possa incoraggiare le società a camminare sinodalmente. Questo tema, infatti, non è riservato alla comunità dei credenti: giova a tutti, è bene rammentarlo».

È già possibile individuare i primi frutti del processo sinodale in corso?

«Sì. In molte diocesi, inclusa quella ticinese, né i pastori (sacerdoti e vescovi) né i fedeli, che hanno partecipato con serietà e slancio alla fase della consultazione, vogliono considerare terminata l’esperienza vissuta: desiderano proseguire e continuare a camminare insieme, in comunione, con stile sinodale approfondendo le riflessioni fatte, in modo da elaborare proposte utili, avviare nuovi progetti, migliorare quelli esistenti, promuovere incontri. Questi sono i primi, preziosi frutti maturati nelle comunità. E sono proprio i frutti che auspicavamo».

Dopo la fase diocesana, quella nazionale e quella continentale, nell’ottobre del 2023 si terrà a Roma la fase conclusiva del processo sinodale, l’assemblea dei vescovi. Vi è chi si domanda se sono allo studio forme di partecipazione del popolo di Dio anche in questa fase del sinodo.

«So che molti si pongono questo interrogativo, convinti che l’assemblea dei vescovi costituisca il vero sinodo. Evidentemente faticano a comprendere che la dinamica del sinodo è cambiata per sempre: esso non è più un evento, ma un processo che si sviluppa nel corso del tempo, e tale processo è iniziato un anno fa con l’ascolto del popolo di Dio, il quale, dunque, è pienamente partecipe. E continuerà ad esserlo anche a Roma, durante l’assemblea dei vescovi, sia perché ha generosamente partecipato alla consultazione formulando riflessioni che non sono andate perdute ma sono diventate la base di lavoro delle fasi successive, sia perché ogni vescovo, che fa parte del popolo di Dio, ha la grande responsabilità – in virtù del proprio ministero – di essere la voce del popolo affidatogli. Non esiste gregge senza pastore, ma non esiste neppure pastore senza gregge. La voce del popolo sarà presente all’assemblea di Roma anche tramite i vescovi. Penso che sia necessario riscoprire, approfondire e imparare ad apprezzare la relazione tra vescovo e popolo di Dio, che nel nostro tempo appare non sempre ben compresa».

Come descriverebbe l’esperienza di sinodalità che sta vivendo in qualità di segretario generale del sinodo dei vescovi?

«Considero questa esperienza una grazia del Signore, e anche una scuola: sto imparando molto. La conversione alla sinodalità è una felice chiamata per tutti, me incluso. E riserva molte sorprese: la prima è fare esperienza che insieme si può arrivare là dove da soli non è possibile giungere».

Il cardinale maltese Mario Grech.
10 Luglio 2022 | 06:42
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