Don Claudio Premoli commenta un celebre dipinto del Beato Angelico per la festa dell'Immacolata

Dall’eternità, Dio ha un progetto a riguardo della persona umana svelato in tre momenti successivi. Ha il suo inizio nell’insondabile decisione del «Padre del Signore nostro Gesù Cristo» di introdurci nella sua stessa vita divina. Egli «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi» (Ef 1,4-5) ad immagine e somiglianza del suo Figlio unigenito. Secondo momento è la realizzazione di questo progetto: il Figlio di Dio mediante l’assunzione della nostra natura umana ci fa partecipi della sua filiazione divina. Il terzo momento è il raggiungimento dello scopo di quest’opera: entrare nella vita eterna, in definitivo possesso della gioia di Dio. Le cose però non sono mai così semplici. All’origine della sua vicenda storica, l’uomo perde se stesso e il luogo della sua dimora: «Il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: dove sei?» (Gn 3,9). L’uomo in sostanza rifiuta il progetto di Dio e in piena autonomia vuole decidere lui cos’è bene e cos’è male. Su questo sfondo si può comprendere la festa dell’Immacolata. «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gn 3,15). Dopo che Adamo ed Eva nel paradiso terrestre ingannati dal serpente – simbolo della tentazione e del male – ebbero «mangiato del frutto» proibito portando la morte dentro l’umanità, Dio stesso con queste parole preannuncia la venuta di una donna: fra la sua discendenza e quella del serpente il Signore stabilisce un’avversione che proseguirà per tutte le generazioni. È un annuncio di salvezza per tutto il genere umano, che si compirà quando Gesù Cristo, mediante la sua incarnazione, nel mistero della passione, morte e risurrezione vincerà il demonio. Con Maria la promessa delle origini prende avvio. In lei Dio prepara «una degna dimora» per suo Figlio e in «previsione» della morte di Cristo la preserva «da ogni macchia di peccato» ancora prima della sua nascita; «infatti la sua immacolata concezione ci porta a quel preciso momento in cui la vita di Maria cominciò a palpitare nel grembo di sua madre: già lì era presente l’amore santificante di Dio» (papa Francesco). La Vergine Maria, «avvocata di grazia e modello di santità», fu dunque promessa dal principio del mondo. Voglio proporre alla vostra attenzione un’opera d’arte sacra famosa: l’Annunciazione di fra Giovanni da Fiesole, più conosciuto col nome di Beato Angelico (ca. 1387-1455), una tempera su tavola, conservata al Museo del Prado di Madrid, che riassume mirabilmente dal punto di vista figurativo il contenuto liturgico, teologico e spirituale della festa dell’Immacolata. Per la scena principale l’Angelico si serve del modo più tipico d’immaginare l’evento raccontato dall’evangelista Luca secondo la composizione convenzionale ereditata dall’arte medievale: l’incontro frontale tra il messo celeste e la Vergine. L’angelo Gabriele, con elegante veste rosa e ali iridescenti, in atteggiamento devoto, lo sguardo abbassato, le mani incrociate sul petto, saluta Maria; è importante rammentare le parole evangeliche: «Rallègrati, piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1, 28). La «piena di grazia» è da sempre la creatura amata da Dio, prescelta dall’eternità per accogliere il dono più prezioso: l’amore di Dio incarnato, Gesù. Grazia è anche «bellezza»; Maria, seduta su un seggio coperto da un prezioso drappo dorato, sobriamente abbigliata con veste rosata (colore che esprime la regalità e la dignità di donna) e ampio manto blu (segno del divino e della contemplazione), riceve il saluto protendendosi in avanti in un cenno d’inchino, con le braccia incrociate al petto, gesti di accettazione del volere divino: «Eccomi sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). Maria dona il suo consenso affinché nel suo grembo prenda corpo l’Unigenito Verbo di Dio, in virtù della pienezza della sua santità. Dall’angolo in alto a sinistra del dipinto, dalle mani aperte di Dio Padre, avvolte in una nube luminosa, parte, all’indirizzo della Vergine, un raggio di luce divina con la colomba dello Spirito Santo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35). La scena avviene all’interno di una loggia dall’architettura rinascimentale, uno spazio perfettamente cubico dai particolari preziosi (immagine della Gerusalemme celeste, ovvero della Chiesa): il pavimento in diaspro e le volte a imitazione di un cielo stellato. Nella parte sinistra del dipinto, ambientata in un giardino lussureggiante – al medesimo tempo Eden e hortus conclusus, simbolo di verginità – è rappresentata la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso; primo istante di rottura tra l’uomo e Dio che è ricomposto dal fiat di Maria, novella Eva. Come dice Ireneo di Lione, «era giusto e necessario che Adamo fosse ricostituito in Cristo, affinché il mortale fosse assorbito e ingoiato dall’immortalità, e che Eva fosse ricostituita in Maria affinché una Vergine divenuta l’avvocata di una vergine, cancellasse ed annullasse la disobbedienza di una vergine con la sua obbedienza di Vergine». Con l’obbedienza della sua libertà, Maria apre nel mondo lo spazio in cui Dio Padre può realizzare il suo progetto di salvezza; in questo modo ella parteciperà anche al grande contrasto che attraversa tutta la storia umana: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe».

Don Claudio Premoli, parroco di Mendrisio e presidente della Commissione di arte sacra della diocesi

8 Dicembre 2020 | 07:02
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