René Roux, rettore della FTL: «Il boom della fede via etere e web interroga i teologi»

Tra le limitazioni imposte dalle misure emanate per rallentare la diffusione del contagio vi è stata anche quella di sospendere le celebrazioni liturgiche. Pare che nella storia non fosse mai stata presa una decisione di queste proporzioni. In fin dei conti, le chiese ed i santuari sono sempre stati luoghi di rifugio e fonti di consolazione nei momenti più bui della nostra storia. Per cercare di lenire gli effetti negativi di questa situazione e rispondere all’esigenza spirituale dei fedeli si sono moltiplicate le celebrazioni trasmesse dalle reti televisive così come altre iniziative religiose organizzate da singoli, sacerdoti e no, grazie alle possibilità oggi offerte dalla tecnologia informatica. So per esperienza personale quanto siano utili le Sante Messe trasmesse dalla televisione quando non sia possibile parteciparvi di persona, essendomi capitato alcuni anni fa di essere immobilizzato a seguito di un intervento chirurgico proprio durante la Settimana Santa. Ciò però che non avrei mai potuto immaginare, e con me credo pure tutta la gerarchia cattolica assieme a molti direttori di canali televisivi, è stato il successo di ascolto che le liturgie hanno avuto in questi momenti così drammatici. La preghiera da San Pietro il venerdì sera prima della Settimana Santa sembra aver superato i 17 milioni di ascoltatori. A tutti i livelli si sono organizzati eventi, da celebrazioni eucaristiche a rosari, processioni consacrazioni alla Madonna in presenza di autorità civili rigorosamente a distanza di sicurezza. Un simile, rinnovato, interesse per le celebrazioni cultuali interpella anche la teologia accademica – quella per intenderci che si pratica nelle facoltà teologiche e viene insegnata ai futuri preti, operatori pastorali ed insegnanti di religione. Essa non potrà esimersi dall’analizzare con attenzione un dato che contrasta in larga misura l’opinione dominante di una progressiva irrilevanza sociale del cristianesimo e che mette di fatto in discussione alcune delle strategie pastorali più diffuse nella Chiesa cattolica degli ultimi anni.

Tra le prime reazioni a questo fenomeno si sono fatte sentire voci molto critiche, soprattutto di area cattolica tedesca, ma diffuse anche da noi. Esse hanno pubblicamente criticato la celebrazione dell’Eucarestia senza il popolo, per il fatto che, mettendo di nuovo al centro la figura del sacerdote unico «attore», sarebbe una rinnovata manifestazione di centralismo clericale non in linea con il concilio Vaticano II. Non parliamo poi dell’atteggiamento di sufficienza nei confronti delle manifestazioni di pietà popolare, viste come espressione di una fede non adulta e non adatta a uomini e donne del XXI° secolo. Altri esperti, al contrario, hanno messo in risalto come, proprio nella tristezza di non poter avere celebrazioni eucaristiche con la presenza fisica del popolo, il senso di fede del popolo di Dio stia ricordando a tutti, preti e teologi compresi, che la santa messa è un sacramento con un valore oggettivo che non dipende dall’assemblea e quindi ha un senso celebrarla anche in queste circostanze, a beneficio di tutti. Inoltre, l’interesse eccezionale mostrato per queste celebrazioni fa nuovamente riemergere lo scopo primo dell’atto cultuale pubblico della Chiesa, che è il rapporto con Dio. Anche la teoria che riteneva la religiosità popolare tradizionale come una fase primitiva destinata ad evolversi, ha ormai dimostrato la sua infondatezza a livello sociologico. Si fa strada in alcuni il dubbio che la linea dominante all’interno della teologia accademica, da anni alleata dell’episcopato mondiale nel lavoro di riforma della Chiesa ed impegnata nel rinnovamento della liturgia per renderla sempre più vicina alla gente, abbia finito per sottolineare in modo squilibrato la dimensione comunitaria ed intellettuale della liturgia al punto da distrarre l’attenzione dalla realtà sacrale del mistero e che ciò possa aver favorito lo svuotamento progressivo delle nostre chiese a vantaggio di forme alternative di religiosità al di fuori della tradizione cristiana. Come si vede, il Coronavirus senza volerlo sta dando nuovi contorni ad un dibattito intra-ecclesiale che con ogni probabilità continuerà ad occuparci anche dopo che, a Dio piacendo, il virus sarà stato sconfitto.

René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano

5 Maggio 2020 | 14:44
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