Africa

Africa, l’arcivescovo di Benin City: «Nel continente non solo povertà e corruzione»

Di ritorno dalla storica plenaria programmatica dei vescovi dell’Africa Occidentale tenutasi in Burkina Faso nel mezzo di attentati e disordini, monsignor Augustine Akubeze, arcivescovo di Benin City, in Nigeria, in esclusiva per Vatican Insider, affronta temi cruciali per il continente e questioni decisive per il futuro della Chiesa.

Eccellenza, nell’assemblea delle undici Conferenze episcopali in rappresentanza di 16 Paesi a Ouagadougou, si è parlato di nuova Evangelizzazione e di Sviluppo umano integrale. Quali sono le principali sfide che la Chiesa si trova di fronte?

«Abbiamo attinto molto dai documenti del magistero calandoli nella realtà africana. Da noi la celebrazione della vita – dalla nascita alla morte – riguarda tutta la comunità, l’intera famiglia contribuisce nella scelta del nome del neonato così come in quella del luogo di sepoltura di chi è morto. Se la Chiesa in Africa vuole essere efficace nell’evangelizzazione, deve portare nel suo interno i valori tipici del nostro continente. Abbiamo discusso molto di come assicurare che quanto vi è di intrinseco nei valori africani, sia tenuto in debito conto per la promozione del Vangelo. Abbiamo poi sottolineato quanto siano decisive le strutture per favorire una nuova evangelizzazione e di come le scuole, gli ospedali, le realtà caritatevoli siano strumenti del Vangelo stesso. È molto importante inoltre insistere sulle catechesi permanenti e non solo al fine di ricevere i sacramenti e sostenere le famiglie sia quelle regolarmente sposate che non».

In molti Paesi africani, non solo nell’area occidentale, ci sono instabilità e tensioni, in che modo la Chiesa vuole essere protagonista nella ricerca della pace e la riconciliazione?

«Non si può certo negare che ci siano molti problemi nel nostro continente. Mi permetta però di aggiungere che non è questa l’unica notizia che viene dall’Africa. Purtroppo i media rappresentano solo questo aspetto. Non c’è dubbio che ci siano povertà, insicurezza, fame, guerre e corruzione, ma pochi ricordano che da noi sono partite le Primavere Arabe contro i dittatori; che in Burkina Faso, oggi alla ribalta per tensioni, c’è stato un ricambio pacifico al potere dopo le proteste. In Gambia c’è stata una rivoluzione che ha spodestato il dittatore e stabilito la democrazia senza spargimento di sangue. Nella mia stessa Nigeria, la più popolosa delle nazioni nere al mondo, alcuni anni fa c’è stata un pacifica transizione al potere. Potrei citarle tanti altri aspetti, voglio solo sottolineare come i media dovrebbero fare uno sforzo maggiore per cambiare la narrazione stereotipata dell’Africa. Certo, da noi c’è ancora molta povertà ed è il diretto risultato di corruzione dei nostri leader. Ma il saccheggio delle nostre ricchezze non sarebbe stato possibile se non fossero stati messi a disposizione dei nostri governanti, forzieri sicuri in occidente. Molti leader africani rubano soldi africani e li portano in banche europee o americane. È incredibile, ad esempio, scoprire i miliardi di dollari che a fatica il nostro presidente sta cercando di far tornare dopo che i precedenti li avevano sparsi in occidente per decenni. Immagini come sarebbe oggi la Nigeria se tutti quei soldi fossero stati spesi per la popolazione. Come Chiesa stiamo cercando di creare maggiore consapevolezza nel popolo perché, come sta succedendo, chieda ai propri leader di rispendere delle loro azioni. Allo stesso tempo chiediamo ai cattolici in politica di fare la differenza una volta eletti. Il principio della sussidiarietà dovrebbe essere inserito in ogni costituzione».

Molti giovani lasciano i propri Paesi in Africa in fuga da guerre o dittature o in cerca di un futuro migliore. E nella stragrande maggior parte dei casi si tratta di migrazione intra-africana, non verso l’Europa. Come si affronta questo tema così delicato?

«Molti nostri giovani sono disoccupati. Alcuni di questi vanno a ingrossare le fila della criminalità o sono facili prede di trafficanti. Nell’assemblea di Ouagadougou abbiamo parlato molto di questo e di come la Chiesa debba investire di più nella formazione dei giovani e nel miglioramento dei nostri contatti mediatici con loro. La maggior parte frequenta la rete e noi è lì che dobbiamo incontrarli. Ci sono diocesi che stanno facendo molti sforzi per favorire consapevolezza tra i giovani dei rischi della migrazione. La mia Arcidiocesi, ad esempio, è in partnership con la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, per collaborare su questo tema. Inoltre, attraverso vari progetti, puntiamo a formare i giovani perché acquisiscano esperienze per essere auto-sufficienti e diano vita a piccole imprese. Molti sforzi dovrebbero essere indirizzati a fermare il cosiddetto brain drain. Da noi, ad esempio, c’è un altissimo numero di medici che vanno in America o Europa dopo aver studiato in Nigeria. Ciò creo un enorme problema perché il tasso di professionisti formati che vivono nel Paese, è molto più basso della media».

L’ultima domanda la riserviamo al suo Paese. Qual è la situazione a pochi mesi dalle elezioni e quale il ruolo della Chiesa nello sforzo di normalizzazione e nell’affrontare la questione del traffico di esseri umani così drammaticamente di attualità in Nigeria?

«In Nigeria si sono tenute le elezioni lo scorso febbraio. Alcuni osservatori sostengono che siano state libere e giuste, altri che i risultati non rispecchiano la volontà degli elettori. Ci sono stati molti ricorsi, la buona notizia è che diversamente dal passato, chi non accetta i risultati, si rivolge alla giustizia, non più alla violenza. Il potere giuridico deve sempre più conquistare la fiducia della popolazione. Noi leader della Chiesa abbiamo più volte espresso le nostre posizioni al governo, abbiamo apprezzato i loro sforzi genuini e criticato lì dove ha fallito a dare risposte alle sofferenze dei nigeriani. Purtroppo la piaga dell’insicurezza è ancora molto attuale, ci sono rapimenti, razzie di terreni e allevamenti, conflitti costanti tra allevatori e agricoltori. Il numero dei profughi, dispersi in tanti campi nel Paese, poi, è sempre molto alto. Noi vescovi abbiamo più volte alzato la voce contro la costante ostentazione di indifferenza del governo e la poca affidabilità in molti campi. Per quanto riguarda il traffico di esseri umani, abbiamo stabilito una collaborazione col governo per creare più consapevolezza rispetto ai rischi che si corrono. Siamo impegnati nel sostegno alla riabilitazione delle vittime rimpatriate. Nella mia diocesi di Benin City, abbiamo una casa di accoglienza dove le vittime ricevono trattamenti psicologici e umani prima di essere reintegrate nella società. Lavoriamo inoltre con molti gruppi che richiedono leggi più adatte nella punizione di chi rapisce e traffica esseri umani. In questo senso è preziosa la collaborazione con avvocati cattolici che si occupano proprio di questo fenomeno. Ma soprattutto, preghiamo perché venga presto la fine delle tante sofferenze della popolazione africana».

(Vatican Insider)

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3 Giugno 2019 | 11:45
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