Commento

Mons. De Raemy sulla «Christus vivit»: Gioventù, tempo di grandi ideali

Cosa è questa lettera post-sinodale? Un regalo! Non c’è altro da dire. Il Papa ci regala una lettera intima e personale, ma allo stesso tempo frutto di un camino sinodale, che viene indirizzata ai giovani ma anche a noi tutti, e che ci propone e ci descrive un progetto: quello di Dio con ognuna e ognuno di noi.

Un progetto che si coniuga in tanti modi quanti sono gli uomini. Un progetto che implica la nostra libera creatività, la nostra audacia e la nostra paura, i nostri sogni e la dura realtà. Ma sempre nella consapevolezza che Dio c’è, che Cristo c’è, che lo Spirito Santo c’è, e che anche la Chiesa c’è, con i suoi «doni» che non sono suoi essendo doni di Dio. La gioventù viene descritta come il tempo della grande manifestazione di questo progetto di Dio, cuore della nostra vita.

Per questo il Papa la chiama «terra santa», una «terra» alla quale non ci si può avvicinare senza togliersi le scarpe. La gioventù è così un tempo per far sorgere e maturare i più alti ideali. È tempo delle domande e del confronto con le cose stabilite. È il tempo della luce che rivela nuove possibilità. I giovani sono come una permanente scossa, che ci impedisce di addormentarci. La gioventù non è prudente, è irrompente! Il Papa ci chiama noi, adulti, ad accoglierla e ad accompagnarla, a farle posto e ad ascoltarla. È proprio il test dell’autenticità della nostra apertura alla volontà di Dio…

Ma tutto questo, ci dice il Papa, i giovani non possono viverlo bene e in pace, se non nella consapevolezza dell’Amore di Dio. Amore di un Cristo presente, vivo! Non un buon esempio del passato. La pienezza dell’essere giovane, si vive nell’amicizia vissuta con Gesù. Ma non si tratta mai di copiare esempi di santità, ma di essere incoraggiati dai santi a percorrere la nostra particolare ed inimitabile strada in verità. La scoperta del progetto di Dio, che mi è già stato parzialmente comunicato nel DNA della mia personalità, nei miei tratti di carattere e di cuore, nelle mie capacità, implica di mai chiudersi all’altro, al diverso, di mai chiudersi agli altri. Un’educazione sana non separa, non isola, ma immerge la mia identità in tutti i componenti della società. Non si tratta mai di preservare la gioventù, di chiuderla in un «ghetto cristiano» ma di accompagnarla ovunque, senza che nessun’altra persona e nessun’altra idea diventi di per sé un tabù. Il mondo è come è, fa parte della mia vita, è il luogo della mia missione d’amore.

Potrei continuare per ore a sviluppare le tante indicazioni, i tanti spunti, i tanti accenni di questa lettera che apre ai giovani, e con loro a tutti, l’orizzonte infinito della vita in Dio. Colpisce anzitutto in questa lettera la decisiva scommessa sull’agire di Dio nei giovani e sull’agire dei giovani con noi. Niente dunque sarà così decisivo per la Chiesa che la loro fede attiva, o al contrario niente tanto distruttivo che la paura di vederli e promuoverli in mezzo a noi… con le loro critiche, la loro novità, le loro provocazioni. L’ultima frase della lettera lo dice in modo incisivo, nel ricordo di quella corsa che vide l’apostolo Giovanni arrivare per primo al sepolcro vuoto, ma senza entrarci prima dell’arrivo di Pietro: «La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci». Questa lettera è da leggere come un regalo che ci apre, giovani e meno giovani, alle vere sfide della fede, della speranza e della carità.

* Vescovo ausiliare di Losanna, Ginevra e Friburgo, delegato della Conferenza dei Vescovi svizzeri al Sinodo «I giovani, la fede, il discernimento

6 Aprile 2019 | 06:00
Tempo di lettura: ca. 2 min.
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